Quisquilie
È solo un’impressione o è vero che la cosiddetta “Certificazione di Qualità”, ostentata fi no a qualche anno fa da molte imprese come plus competitivo, in tempo di “spending review” è stata sostituita da altre argomentazioni ritenute più appealing?
A pensar male si fa peccato, voglio quindi accantonare il sospetto che, data la crisi, qualcuno abbia deciso di giocarsi la partita puntando tutto sul ribasso: dei prezzi e della qualità dei prodotti. In caso contrario sarebbe un disastro.
Perché la qualità è un’entità variabile, che si misura col confronto tra le proprietà di un prodotto e ciò che ci si aspetta da lui. E, dato che per quanto attiene i prodotti italiani, l’aspettativa è molto elevata, abbassare la soglia di attenzione verso questa entità significherebbe deludere le attese dei consumatori e, di conseguenza, andare incontro ad un insuccesso sicuro.
Questo concetto basilare era ben chiaro a quegli imprenditori che dal dopoguerra hanno operato per costruire e diff ondere l’immagine del Made in Italy nel mondo. A tal proposito ricordo un episodio di vita vissuta.
Una storia esemplare accaduta molti anni prima che l’Organizzazione Internazionale della Standardizzazione (Iso) adottasse il sistema di certificazione della qualità dei processi produttivi; e che vorrei raccontare alla maniera delle favole, con morale finale.
C’era una volta, e per fortuna c’è ancora, il “signor Michele”, proprietario di una grande azienda piemontese, famosa nel mondo per i suoi cioccolatini, ma soprattutto per una crema da spalmare a base di cioccolato e nocciole.
Ogni giovedì mattina nell’ufficio del signor Michele si teneva una riunione nel corso della quale i suoi più stretti collaboratori erano chiamati ad illustrare lo stato d’avanzamento dei progetti in corso. Un bel giorno una di queste riunioni fu dedicata alla presentazione di una nuova pralina di cioccolato ripiena di cognac. Si trattava di un prodotto sul quale il signor Michele puntava molto.
Un progetto così importante che a presentarlo fu il nuovo Direttore Generale, assunto da poco in azienda. Il suo intervento durò a lungo e fu ricco di argomenti, ma molti notarono che l’attenzione del signor Michele, più che allo speech del manager, si era concentrata sulle praline posate sul tavolo.
Le prendeva una dopo l’altra cercando inutilmente di aprire l’incarto, agendo sulla linguetta di strappo. Col passare dei minuti fu chiaro a tutti che, a causa di quella maledetta, insignificante, strisciolina di cellophan che non voleva funzionare, l’umore del signor Michele si era messo al brutto.
E infatti, alla fi ne della presentazione, il signor Michele con un plateale gesto della mano spazzò via i cioccolatini dal tavolo, gettandoli direttamente nel cestino della carta straccia. Non funziona, ruggì. Bisogna ricominciare tutto da capo.
A quel punto il Direttore Generale, tentò di sdrammatizzare la situazione: Signor Michele, disse, non c’è problema, è solo un dettaglio, una quisquilia. Caro dottore, rispose il signor Michele, lei è con noi da poco tempo e forse non sa che tutti i nostri prodotti sono composti da molte di quelle che lei chiama “quisquilie”.
E la gente li apprezza proprio perché capisce che noi, i dettagli, li curiamo alla perfezione”. La morale della favola? Sono gli imprenditori come il signor Michele che, con la loro innata cultura della qualità, hanno dato fama e credibilità ai prodotti Made in Italy. Sarebbe un peccato se, per motivi contingenti, quella cultura andasse perduta.
Bruno Zerbini
bruno@brunozerbini.com
Fondatore della Bruno Zerbini & Partners, è stato international creative director presso Pubbliregia house agency di Ferrero e vice presidente Unicom.