Pubblicità occulta anche per l’ avvocato

La Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di pubblicità occulta e, questa volta, si è trattato di un’ avvocato, sanzionato disciplinarmente proprio perché accusato di utilizzare una pubblicità camuffata, cioè non percepibile come tale. Ma veniamo ai fatti.

Nel 2007 veniva pubblicata su un periodico mensile, allegato ad un quotidiano, un’ intervista ad un legale, dal titolo “Tra Germania e Italia accompagnando i clienti nella costituzione di joint venture e partnership all’ estero. L’ avv. XXX racconta la sua ventennale esperienza.

L’ impresa in primo piano”. Tale intervista era stata ritenuta dal Consiglio dell’ Ordine di appartenenza dell’ avvocato una vera e propria pubblicità, anche se non ne rivestiva le caratteristiche proprie, di tal che al lettore veniva trasmesso un messaggio pubblicitario occulto, camuffato sotto l’ aspetto di informazione giornalistica.

Ai sensi dell’ art. 17 del Codice Deontologico Forense, all’ avvocato è consentito dare informazione sulla propria attività professionale. L’ informazione deve essere connotata da trasparenza e veridicità e conforme a verità e correttezza. Quanto alla forma e alle modalità, l’informazione deve rispettare la dignità e il decoro della professione. Non deve, inoltre, essere ingannevole, elogiativa o comparativa.

L’ art. 17-bis, poi, indica le modalità con cui è possibile per l’ avvocato dare informazione sulla propria attività professionale. L’ art. 18 disciplina i rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione, stabilendo che l’avvocato debba ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare interviste, per il rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza.

E’ fatto inoltre divieto all’avvocato di enfatizzare la propria capacità professionale, di spendere il nome dei propri clienti, di sollecitare articoli di stampa o interviste sia su organi di informazione sia su altri mezzi di diffusione; così come di convocare conferenze stampa, fatte salve le esigenze di difesa del cliente.

Ritornando al caso portato all’ esame della Corte di Cassazione, la Suprema Corte ha evidenziato come il tipo di pubblicazione, il titolo dell’ articolo (che pur richiamandosi all’ “impresa in primo piano”, di fatto introduceva un testo avente contenuti diversi e quindi devianti per il lettore), la stessa forma dell’ intervista costituivano modalità non consone, proprio perché il lettore non poteva percepire chiaramente di essere al cospetto di un’ informazione pubblicitaria. Si è ritenuto trattarsi di un’ informazione pubblicitaria “confezionata sotto altre spoglie”, senza alcuna dichiarazione in merito al fatto che di pubblicità si trattasse.

Lo stesso contenuto dell’ intervista non conteneva riferimenti alle problematiche tecnico-giuridiche sui rapporti commerciali e societari evocati dal titolo, ma si attardava, nelle quattro pagine dell’ intervista, sulla struttura, le competenze e le attività dello studio professionale, oltre ad essere accompagnato da numerose immagini fotografiche.

La Corte di Cassazione si è richiamata alla propria giurisprudenza in materia, che prevede la responsabilità disciplinare dell’ avvocato, nel caso in cui la pubblicità informativa leda il decoro e la dignità professionale. Se il messaggio non è conforme a correttezza, esso può essere sanzionato dall’ organo disciplinare.

La pubblicità informativa, ha ribadito la Corte, deve essere funzionale all’ oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’ obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria.

La pubblicità finalizzata all’ acquisizione della clientela è illecita quando venga svolta con modalità lesive del decoro e della dignità della professione.

Anche la normativa comunitaria sulla concorrenza non consente certo di realizzare una pubblicità professionale con modalità classificabili come “pubblicità occulta”, che non rispettano i precisi limiti deontologici disciplinarmente rilevanti.

Fiammetta Malagoli

malagoli@studiolegalemalagoli.it 

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