Difendersi è lecito, ma senza denigrare

Fiammetta Malagoli_bustoA fronte di una condanna dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che avevo vietato la diffusione di una pubblicità comparativa tra i prodotti Dash e Dixan, la Henkel diffondeva a sua volta un messaggio, nel quale esordiva dicendo “TI HANNO DETTO: Un misurino di Dash smacchia come 1 misurino e mezzo del principale concorrente. NON È  VERO”. Quindi venivano indicati gli estremi della pronuncia del Garante e poi raffigurati visivamente, da una parte, un misurino, e dall’altra un misurino e mezzo; tra i due, il segno = e, a coprire questa immagine, un banner rosso con la dicitura “PUBBLICITÀ  INGANNEVOLE”.

Contro questo annuncio, P&G si rivolgeva al Giurì di Autodisciplina, lamentando l’ingannevolezza del messaggio della concorrente, nonché l’illiceità della comparazione e la presenza di denigrazione nei suoi confronti. Nel costituirsi in giudizio, la Henkel contestava ogni addebito e spiegava domanda riconvenzionale, a sua volta chiedendo la condanna di P&G per aver diffuso un comunicato stampa ed una lettera di contenuti denigratori, laddove veniva indicata come scorretta la condotta di Henkel nella vicenda.

Il Giurì ha riconosciuto il diritto di Henkel di comunicare al pubblico l’intervenuta decisione da parte dell’Autorità Garante a lei favorevole e ha constatato che il messaggio diffuso da P&G è stato in effetti giudicato ingannevole dall’AGCM. Ha, tuttavia, ritenuto eccessiva l’enfasi usata nella “comunicazione correttiva”. Non si sono sanzionati gli spetti quantitativi di tale comunicazione (dimensione del messaggio nei giornali, quantità di mezzi utilizzati), che sono stati riconosciuti avere un effetto di carattere in certo qual modo restitutorio, per bilanciare la campagna pubblicitaria lunga ed insistente di P&G, ed espressione del diritto di controinformare il pubblico, ma ha condannato alcuni profili qualitativi.

Si è rilevato il tono suggestivo del messaggio, raggiunto attraverso l’utilizzo di caratteri molto più visibili, rispetto agli altri, per due affermazioni: “NON È VERO” e “PUBBLICITÀ INGANNEVOLE”; quest’ultima locuzione è stata vieppiù evidenziata dall’essere stata riportata su un banner di colore rosso, trasversale rispetto alle immagini, che erano state utilizzate nella campagna P&G condannata, e quindi visibilissimo. L’impressione che il consumatore può ricavare è sproporzionata, decodificabile attraverso la percezione di una condanna pesante e generale, mentre l’ingannevolezza non è stata ritenuta grave dal Garante, quanto meno a giudicare dall’entità della sanzione amministrativa pecuniaria, tutto sommato contenuta, specialmente se posta in relazione con l’importanza dell’inserzionista e con il massimo edittale.

Il Giurì ha quindi concluso che il messaggio diffuso da Henkel è stato eccessivamente enfatico, al punto da suggestionare il consumatore sulla gravità della condanna. Esso è stato, pertanto, giudicato scorretto e denigratorio nei confronti della concorrente P&G.

In relazione alla domanda riconvenzionale, il Giurì ha ritenuto che le comunicazioni commerciali diffuse da P&G e contestate da Henkel non siano state, del pari, corrette, evidenziando esse la concorrenza sleale della concorrente, in mancanza di una pronuncia da parte dell’autorità giudiziaria, e sminuendo eccessivamente la portata della condanna da parte dell’Autorità Garante. Tale tipo di comunicazione non costituisce corretta informazione; essa non è semplicemente informativa né correttiva e si pone, quindi, in contrasto con il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Fiammetta Malagoli

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