Ripartire al femminile

Con questo articolo di Patrizia Trupiano, prosegue “Ripartire al femminile”, serie di riflessioni dedicata all’approfondimento del dopo emergenza dal punto di vista delle donne. Ovvero quelle che, secondo molti, sono le grandi dimenticate dell’emergenza Covid, che in realtà le ha viste protagoniste assolute sul lavoro e sul fronte domestico.

Patrizia Trupiano, architetto e docente a contratto, Politecnico di Milano, Scuola di Design

Nessuno di noi si sarebbe mai aspettato che tutto, improvvisamente, potesse fermarsi.

Da quel fatidico venerdì 21 febbraio, con la diffusione delle nuove misure di quarantena obbligatoria e sorveglianza attiva – quando i miei colleghi ed io eravamo al Politecnico, in Bovisa, per valutare i lavori finali degli studenti –, l’attenzione delle mie colleghe e della sottoscritta si è canalizzata sugli studenti.

Da subito ci si è attivati con la didattica a distanza, con lezioni frontali online, confrontandoci con tutte le problematiche del caso. Si è presto verificato che una pura trasmissione di contenuti non può essere sufficiente per garantire la formazione completa di individui in un momento cruciale della crescita.

Una situazione questa che ho vissuto personalmente da madre di una ragazza che dovrebbe laurearsi e di cui sto vivendo da vicino aspettative, ansie e contraddizioni per mancanza di confronto con i suoi compagni e i suoi professori: quelle sinergie che solo in aula possono crearsi.

Le donne come si sa hanno bisogno di parlare e da qui il confronto con amiche, mamme, colleghe, insegnanti. Donne preoccupate, spaventate ma consapevoli del proprio ruolo spesso sacrificato nella fretta delle cose da fare ogni giorno. E in questa atmosfera surreale ci siamo trovate a preoccuparci anche di quei ragazzi che si sono trovati soli per studi, lontani dalla famiglia: isolati in città.

In questa fase il Politecnico, come altre università e scuole, hanno cercato di tenere in piedi la didattica degli apprendimenti, garantendo quella quotidianità spezzata dalla pandemia, inventando strategie e momenti collettivi di partecipazione a distanza. Hanno mantenuto quindi quell’empatia e quello spirito di appartenenza del gruppo che contraddistingue la vita nei campus universitari e nella scuola.

I nuovi strumenti digitali sono stati sicuramente preziosi per supportare la didattica in questa prima fase, ma comunque noi non possiamo pensare che questi possano essere altro che strumenti integrativi – riconoscendone comunque l’importanza del loro apporto culturale -, e non sostitutivi.

Non dobbiamo dimenticare quella parte fondamentale dell’insegnamento legata al rapporto tra pari, allo spirito di gruppo e al confronto generazionale.

Quindi, se la didattica a distanza è riuscita a “tamponare” questa prima emergenza è stato anche perché la comunità del sistema educativo, – le classi – già si erano formata e quindi effettivamente il sistema è stato supportato ed integrato continuando a fare sentire il senso di appartenenza al gruppo già esistente.

Ma a questo punto una domanda dovrebbe sorgere. Cosa succederà a settembre con le nuove classi e gli studenti di primo anno, se dovremo ancora affrontare o prevenire emergenze? Come potrà la cultura digitale garantire l’empatia di generazioni e una comunicazione sensoriale.

Il mio timore, condiviso da altri, è che qualcuno possa intravedere in questo nuovo strumento un modo per ridurre i costi del sistema educativo, fraintendendo le potenzialità della cultura digitale che va intesa nelle sue giuste accezioni e studiata in modo molto approfondito, per potenziare il sistema educativo nella sua complessità.

Patrizia Trupiano

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