Marina Abramovic a Firenze
A Palazzo Strozzi a Firenze è in mostra “The Cleaner” la prima grande antologica dedicata a Marina Abramovic, l’artista che trasformò la performance in arte, spesso attaccata per le esibizioni molto forti di cui si è resa protagonista, a volte anche “vittima” in un certo senso delle sue stesse installazioni viventi. La mostra è iniziata con varie polemiche – da sempre Marina Abramovic fa rima con polemica- e con tanta enfasi, forse troppa. L’artista è stata infatti aggredita da un sedicente fan. L’uomo aveva con sè un ritratto della Abramovic, incorniciato ma senza vetro, e l’ha scaraventato addosso all’artista, colpendola sulla testa. La perfomer è rimasta illesa, ma evidentemente scossa, mentre l’aggressore è stato subito fermato dalla polizia, un 51enne della Repubblica Ceca non nuovo a queste “dimostrazioni”. “Tra la folla – ha raccontato la Abramovic- c’era un uomo che portava con sé un dipinto raffigurante il mio volto in modo distorto. Si è avvicinato guardandomi negli occhi e gli ho sorriso pensando che fosse un regalo per me. In una frazione di secondo ho visto la sua espressione cambiare e diventare violenta, venendo verso di me molto velocemente e con forza. I pericoli arrivano sempre molto rapidamente, come la morte stessa. Tutto a un tratto mi ha colpita, non l’ho visto subito”. L’esposizione nasce dalla collaborazione diretta con l’artista nella volontà di proseguire – dopo Ai Weiwei e Bill Viola – la serie di mostre che hanno portato a esporre a Palazzo Strozzi i maggiori rappresentanti dell’arte contemporanea. Intanto è polemica sulla censura delle immagini di nudo scattate alla mostra e censurate dai social. In molti infatti si soffermano per l’immancabile selfie soprattutto davanti a “Imponderabilia”, la performance che invita i visitatori a passare attraverso i corpi svestiti di una performer e di un performer, opera che già fece discutere nel 1977. Foto e selfie che vengono puntualmente bannate. L’artista esordisce a Belgrado, come pittrice figurativa e poi astratta. Negli anni Settanta inizia a immergersi nelle performance attraverso l’utilizzo diretto del proprio corpo, come testimoniato dalla serie Rhythm (1973-1975), dalla celebre Art Must Be Beautiful/Artist Must Be Beautiful (1975) o da The Freeing Series (Memory, Voice, Body, 1975). La Abramovic è un’artista serba, naturalizzata statunitense, celebre per le sue performance che esplorano i tratti più istintivi e spesso oscuri dell’animo umano. Si è autodefinita “Grandmother of performance art” per sottolineare la portata rivoluzionaria del suo modo di intendere la performance artistica che, nel suo caso, prevede spesso la partecipazione del pubblico, sia a livello mentale che fisico. Ad Amstrerdam nel 1976 Marina Abramovic conosce il performer tedesco Uwe Laysiepen, in arte Ulay. Nasce subito un profondo connubio artistico e sentimentale. Insieme furono protagonisti di alcune opere celebri come Rest/Energy (1980), o come la performance Impenderabilia (Galleria Comunale di Arte Moderna di Bologna, 1977) in cui i due artisti, completamente nudi, si ponevano l’uno di fronte all’altro all’ingresso di uno stretto passaggio che gli spettatori erano costretti a oltrepassare per entrare nel museo, scegliendo se dare la spalle all’uomo o alla donna. La performance, che doveva durare tre ore, venne interrotta da due poliziotti dopo due ore, perché ritenuta oscena. Anche l’addio tra i due artisti diventò un’opera d’arte, dal titolo The Lovers (1988). I due infatti si recarono agli estremi opposti della Muraglia Cinese (Ulay parte dal deserto dei Goby, la Abramovic dal Mar Giallo) e dopo un lunga camminata si incontrarono a metà per abbracciarsi e dirsi addio. L’evento si pone come una straordinaria retrospettiva che riunisce oltre 100 opere offrendo una panoramica sui lavori più famosi della sua carriera, dagli anni Sessanta agli anni Duemila, attraverso video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e la riesecuzione dal vivo di sue celebri performance attraverso un gruppo di performer specificatamente formati e selezionati in occasione della mostra.
Adele Messina