SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO?
Ogni due per tre c’è chi si applica un’etichetta dichiarandosi vegano, vegetariano, carnivoro, onnivoro … mica facile discutere di questi temi stando su posizioni diverse e non dovrebbe essere neppure necessario farlo, se non per scambiarsi ricette. Tutti invece a pontificare gli uni sugli altri e a definirsi usando questo o quell’aggettivo che li qualifica per come si nutrono, ognuno convinto che la sua scelta sia più rispettosa o più etica di un’altra. C’è chi è convinto che un certo stile alimentare gli allunghi la vita, dimentico dell’incidenza del vivere fra gli scarichi cittadini. Chi mangia bio ed è anche accanito fumatore. Molti parlano di alimenti senza neppure conoscere, se non per sentito dire, i processi di produzione e lavorazione di quello che diventa poi il “loro” cibo.
La salvaguardia della natura in generale o anche solo di una sua parte (e ognuno ha la sua prediletta) è un tema ricorrente, ma molto vago e spesso confuso. C’è chi si sposta da una posizione all’altra e viceversa, spinto dai più diversi convincimenti o condizionamenti che gli giungono da dentro e da fuori. Ognuno, quale che sia il suo orientamento alimentare, dichiara di fare scelte responsabili e consapevoli … ce n’è per tutti e tutti hanno una qualche ragione da sostenere. Per questo la dialettica e la retorica la fanno da padrone e permettono di spostare l’attenzione, di qua o di là, a chi le governa meglio, indipendentemente che lo faccia dall’alto della propria cultura o dal basso della propria ignoranza. Ma esiste forse una ragione o un’etica del cibo universale? Non mi risulta. Chi ne parla, in buona sostanza, lo fa in virtù dei propri studi, delle proprie sempre limitate conoscenze, di un credo, di esperienze gustative, per aderire ad un comune sentire, per tradizione o semplicemente per un vago e legittimo senso di noncuranza di aspetti che per altri sono invece determinanti. Chi può dire cosa sia più giusto in un contesto relativo come quello della scelta alimentare? Non ci aiutano certo le convenzioni, le tradizioni e le emozioni. Per tentare di chiuderla pari e patta potremmo azzardarci a dire che qualunque sia l’alimentazione che scegliamo riguarda sempre qualcosa di morto, ma faremmo un torto all’infinitamente piccolo popolatissimo e sempre vitalissimo, che essendo microscopico non riusciamo a considerarlo degno di una qualche forma di pietà che invece riserviamo al genere animale “visibile” e, in modo diverso, a quello vegetale. Viviamo in costante conflitto fra la necessità di nutrirci per vivere e le attenzioni che rivolgiamo a piante e animali, discriminandoli egoisticamente in funzione del diverso benessere che ci procurano: animali da compagnia e animali da forno, piante da decorazione e piante da minestrone, borse in pelle e cestini di bambù. Parliamo di vita, ma ne facciamo una questione soggettiva, per cui arriviamo a stabilire che c’è vita e vita. Dipende solo da come la pensiamo, che a sua volta deriva dalla nostra cultura. Se fossimo davvero consapevoli di quello che implica il nutrirsi potremmo essere colpiti dall’immobilismo. Mondo vegetale o animale alla fine sono solo definizioni, utili per distinguere, scambiare e condividere segnali e opinioni con altri umani. Ma abituati come siamo a catalogare le cose per similitudini e differenze potremmo anche sbagliarci: capita che ci faccia impressione vedere lo scheletro di un animale o un petto di pollo arrosto, ma un tavolino in legno e le travi di un tetto non sono parte anch’essi dell’ossatura di una pianta? E un fiore di zucca in padella non rappresenta forse un percorso interrotto, tanto quanto un quarto di pollo alla brace?
Nutrirsi di questo o quello dipende dall’organismo che si possiede e appartiene a qualunque organismo. Quello che decidiamo di mangiare è una scelta personale, che non ci rende né migliori, né peggiori di chi fa scelte diverse da noi. Dobbiamo nutrirci per vivere e abbiamo il privilegio e la possibilità di scegliere come. E quando prendiamo qualunque posizione su questi temi ricordiamoci di chi alleva o coltiva, che semplicemente rende la vita più facile ai propri simili perché si incarica al posto loro di far crescere e di interrompere forme di vita necessarie al nostro nutrimento. Buon appetito.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale
Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it