NESSUNO CI OBBLIGA.

Pietro GreppiQuello che ora sottopongo non è un’inversione, un cambio di campo o di opinione, bensì un invito al pensiero laterale. Io sono il primo a indicare comportamenti scorretti di aziende e agenzie e a prendere posizione su questioni etiche in comunicazione, ma è sempre bene, ogni tanto, “provare a guardare da fuori” per poi rientrare nel ruolo con la mente più libera da possibili sovrastrutture. Farlo consente di essere più obiettivi sul nostro stesso operato e agire di conseguenza in stretta relazione con il nostro personale concetto di etica.

Da consumatori, chi mai ci obbliga a mangiare quello che troviamo in vendita? Esiste qualcuno che ci costringe a riempirci di  sali, grassi, zuccheri, alcool, carne, lotterie, etc.? C’è forse chi ci obbliga a comprare ciò che troviamo nei negozi? Esiste una sola risposta: NO.

Lo stesso dicasi per qualsiasi altro prodotto o servizio che sia disponibile sul mercato. Nessuno ci obbliga. Eppure partecipiamo, diamo inizio o assistiamo frequentemente a critiche anche feroci su marchi, prodotti, servizi. Come consumatori, spinti a volte da qualche suggeritore, ci arrabbiamo con chi riteniamo essere responsabili del nostro ingrassare, dei nostri problemi, di sprechi e truffe. E capita che la colpa venga attribuita anche alla pubblicità, che comunque qualche peccato commette. I comunicatori e le agenzie fanno (facciamo) in genere un lavoro che, nei fondamentali, è abbastanza semplice: devi in fondo solo occuparti di evidenziare le qualità del prodotto, spiegarne i benefici meno evidenti, dargli un nome e un aspetto ben riconoscibili, solleticarne l’acquisto agendo su leve –al limite- anche irrazionali usando lo strumento della retorica. Quello insomma che faceva anche il banditore e il classico venditore porta a porta, ma fatto “a distanza” e con le medesime carenze di completezza delle informazioni fornite. È tutto nel gioco delle parti. Io vendo tu compri. Vista così, la responsabilità di chi ingrassa a suon di hamburger, patatine, caramelle, merendine, bevande dolci, glutammati, alcool, sale, zucchero e olii vari è imputabile solo a chi compra e mangia questi prodotti con leggerezza, senza informarsi, e offrendole addirittura ai propri bimbi senza un minimo di consapevolezza e senso di responsabilità? Identico discorso riguarda tutto quello che investe la spesa in generale di beni non primari, quelli dai quali ci sentiamo attratti, ma di cui potremmo fare anche a meno. La storia di Adamo, Eva e il serpente si ripete. Nessuno ci obbliga, neppure la pubblicità – che pure ci tenta – può farlo. E quindi?

Le persone in genere si fidano di quello che viene loro detto da mezzi come la televisione e da tutto quello che in essa appare, che spiega il ricorrente uso a testimonial spacciati come portatori di attendibilità. Mezzucci che la dicono lunga sulla serietà e l’intelligenza di chi li utilizza.

Ma se io ti do fiducia perché ti dipingi come una grande azienda o agenzia, mi aspetto che tu non mi nasconda nulla che potrebbe danneggiarmi. Altrimenti la tua grandezza in cosa si manifesta? Non mi aspetto che tu possa fare o dire qualcosa che mi metta in difficoltà o che cerchi di distrarmi con cose che con il prodotto che mi vuoi vendere non c’entrano.

Accade invece in continuazione che le informazioni davvero importanti vengano taciute, relegate in secondo piano, rese illeggibili e che le affermazioni qualitative diventino improbabili iperboli, luoghi comuni, contesti inesistenti e di fatto ingannevoli. Non è strano se un’azienda produce prodotti che poi vuole vendere. È strano invece dover pretendere, tramite petizioni, di sapere dall’azienda cose importanti che, se non si vogliono dire è un problema da approfondire, ma che se non si è pensato di dirle ecco che dei professionisti potrebbero trovarci nuovi spunti per forme di comunicazione “laterale” utili a tutti. I comunicatori da questo trarrebbero beneficio in termini di reputazione e di lavoro. Mi piace insomma l’idea che sia possibile assumere l’abitudine alla serietà, alla sincerità, alla trasparenza, al buon senso. In una parola al vero professionismo. E mi piace contemporaneamente l’idea che ognuno di noi sappia cosa sta facendo quando sceglie di comprare, mangiare, usare… Soprattutto sappia che è solo una sua scelta e che la sua scelta ha delle conseguenze su sé stesso e sull’azienda di cui compra il prodotto. Nessuno ci obbliga.

Pietro Greppi

ethical advisor

fondatore di Scarp de tenis

fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale dei segni – non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *