Orfani
Qualche settimana fa mi trovavo in Germania, nell’ufficio di un creativo tedesco. Guardando nella biblioteca mi sono imbattuto in alcune coste conosciute a me e a voi.
Quelle coste familiari che come butti l’occhio saltano fuori. Quella bianca con la scritta nera ’Ogilvy on advertising’. Poi quella con la scritta in corsivo ’Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario…’ di Seguéla.
Subito dopo una new entry ma già autorevole, gialla agip con il titolo che cita il primo: ’Hegarty on Advertising’. Poi ’El libro rojo de la publicidad’ di Bassat e infi ne, ovvio ma giusto, una pubbli cazione della Berlin School of Creative Mgt di Michael Conrad. Ho fatto due conti: uno scozzese, un francese, un inglese, un catalano, un tedesco.
Europa batte Resto del Mondo cinque a zero, e questo è bello, ma senza neanche un gol italiano. Possibile?
Il Paese del design e della moda non ha partorito un padre nobile dell’advertising che, nella biblioteca di un reparto creativo del 2012, non possa mancare. Mezzo secolo di caroselli, spot, investimenti paradisiaci e nessuna costa di libro da ricordare.
Ripasso i nomi, tutte persone che di libri ne hanno scritti: Armando Testa, un grande ma troppo torinese per andare oltre confi ne; Giancarlo Livraghi, troppo intelligente per credere davvero alla pubblicità; Emanuele Pirella, troppa classe per un mondo così sfacciato. E poi? E poi poco, spiace dirlo ma è così.
E nel poco è cresciuta una generazione di orfani. Creativi magari anche di talento, ma senza grandi vecchi cui guardare e senza l’abitudine a far la valigia per andarli a cercare lontano. Nessuno però si stupisca: è l’intero Paese che per decenni ha avuto una classe politica e dirigenziale non adeguata.
Tragicamente, se avessimo il distacco che non abbiamo, ci accorgeremmo che l’unico nome italiano che fa pensare a una svolta nella comunicazione è Silvio. On advertising.
Riccardo Robiglio
riccardo.robiglio@leoburnett.it