Agcom: Sky primo player, Rai supera Mediaset
La relazione annuale dell’Agcom certifica che per il sistema italiano dei media la congiuntura rimane difficile. Calano nel 2013 sia il fatturato della tv gratuita che di quella a pagamento: la prima flette del 5,97% a 4,695 miliardi, la seconda del 2,02% a 3,326 miliardi. La radio perde il 5% a 603 milioni di ricavi. In calo anche i ricavi di quotidiani (–7,02% a 2,331 miliardi) e periodici (–17,28% a 2,351 miliardi), ma anche di Internet che con 1,466 miliardi vede diminuire il proprio fatturato del 2,46% (ma nel computo dell’Authority, evidentemente, non sono comprese tutte le attività web, ma solo quelle più tradizionali e ufficialmente misurate). Guardando ai ricavi dei singoli gruppi televisivi, Sky Italia è la prima tv in Italia in termini di ricavi a 2,6 miliardi di euro nel 2013 nonostante un calo del 3,5% sull’anno prima, segue la Rai con 2,3 miliardi (in calo dell’1,6%), che supera Mediaset che con 2,2 miliardi registra un calo dell’8% rispetto al 2012. Nel confronto con il 2012 il dato di crescita più sensibile è quello del gruppo Cairo Communication che nel 2013 acquisendo la proprietà de La7 ha visto i propri ricavi aumentare del 268,9% a 136 milioni di euro, con Discovery Italia a 125 milioni. In pratica Sky, Rai e Mediaset si dividono l’89,8% delle risorse: il 32,5% a Sky, il 28,9% alla Rai e il 28,4% a Mediaset. Il Biscione, in particolare, ha pagato il calo della pubblicità, scesa a quota 1 miliardo 730 milioni da 1 miliardo e 966 milioni del 2012, mentre è cresciuta l’offerta a pagamento da 520 milioni a 550 milioni. La Rai ha visto invece crescere leggermente le risorse legate al canone da 1 miliardo 647 milioni a 1 miliardo 654 milioni e scendere quelle della pubblicità da 683 milioni a 632 milioni. Sky registra un calo delle entrate da pay (da 2 miliardi 435 milioni a 2 miliardi 395 milioni) e della pubblicità (da 265 milioni a 210 milioni). Per quanto riguarda le quote di mercato della tv gratuita, la Rai sale al 49,4%, mentre Mediaset scende al 35,1%. Nella tv a pagamento, invece, Sky Italia detiene il 77,8% del mercato e Mediaset il 19,1%, in crescita sul 2012 (17,6%). Nel complesso, però, emerge come la tv gratuita (–6%) soffra di più della pay (–2%) così come riduce progressivamente la distanza tra introiti da pubblicità e da abbonamenti: i primi valgono il 41%, i secondi il 37%. L’analisi dell’andamento della raccolta pubblicitaria registra una flessione complessiva del 10,9%, a quota 7,4 miliardi di euro. Lo screening per mezzo indica che i periodici hanno perso il 24,1%, i quotidiani il 13,2%, gli annuari il 30%. Nella tv invece la raccolta è calata invece del 10% a 3,2 miliardi, mentre quella sulla radio ha fatto segnare una frenata del 6,4% a 461 milioni. In calo – secondo le parziali stime ufficiali – c’è perfino la pubblicità su internet (–2,5%). Secondo l’Authority presieduta da Angelo Marcello Cardani, se fino al 2012 le risorse attratte dal web sono cresciute in modo costante, sebbene a tassi di crescita tendenti a diminuire nel tempo e su valori sensibilmente inferiori al passato (+44% nel 2010 e +7% nel 2012), nell’anno passato c’è stata una prima battuta d’arresto. Nella giornata in cui oltre che Sky anche Rai ha superato Mediaset per fatturato, sentito in un’audizione in commissione Trasporti della Camera, il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha attaccato il “monopolio” Sky ma anche Google. Confalonieri si è posto una serie di domande retoriche: «Come la mettiamo con la concorrenza? E come si fa a fare i delfini nella vasca degli squali? Come si fa a competere equamente, se tutto quello che è Internet è sregolato? Se non ci sono gli strumenti per garantire un confronto competitivo equilibrato, dove tutto quello che è uguale sia disciplinato nello stesso modo? Come si fa a difendere e sviluppare il proprio modello di business se gli operatori globali ‘rosicchiano’ i pilastri che reggono l’industria audiovisiva? Oppure, come si fa a competere limitati da vincoli (come siamo noi, operatori del digitale terrestre) con altri operatori televisivi, che sono liberi di rimanere monopolisti della propria piattaforma, che si parano dietro ad una presunta abbondanza di risorse infrastrutturali (parliamo del satellite), pretendendo, quindi, di essere sciolti da qualsiasi limite concorrenziale, “signori” e “padroni” come sono della stramaggioranza delle frequenze satellitari?».