Milano contro la pubblicità sessista: in via preventiva, ma solo negli spazi diretti
Lo scorso venerdì il Comune di Milano ha approvato una delibera contenente le regole che vietano l’affissione sugli spazi in carico all’amministrazione di messaggi pubblicitari discriminatori, che ledono la dignità, in particolare delle donne.
Si tratta di un’azione concreta per fare cultura di genere; del resto già in passato l’amministrazione Pisapia si è distinta per la valorizzazione dei talenti e della professionalità delle donne, e adesso lo fa anche per ciò che riguarda l’immagine.
Ma sono importanti alcune precisazioni: «Innanzitutto – afferma la delegata del Sindaco alle Pari Opportunità, Francesca Zajczyk – la delibera riguarda solo gli spazi direttamente dipendenti dal Comune di Milano, non quelli dati in concessione.
Per quanto riguarda le società e gli enti partecipati dal Comune, verranno dati gli stessi indirizzi, ma le aziende ovviamente avranno margini di discrezionalità. Si tratta di criteri già presenti nella giurisprudenza dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e nelle indicazioni della Commissione Europea, però lo IAP al momento attuale agisce a posteriori, anche se stiamo riflettendo sulla possibilità di nuovi margini di intervento per l’istituto.
Invece il Comune agirà in modo preventivo, la selezione sarà una prassi amministrativa, cioè una procedura interna del Comune, che già monito- ra diversi aspetti tecnici e in più aggiungerà la valutazione sull’adeguatezza ai criteri stabiliti dalla nuova regolamentazione.
Per ora si tratta di un atto politico, probabilmente seguiranno atti esecutivi che daranno indicazioni per agevolare l’applicazione degli indirizzi, ad esempio iniziative di formazione».
Sono cinque le tipologie di messaggi ritenuti incompatibili con l’immagine che il Comune di Milano intende promuovere: le pubblicità che rappresentano o incitano atti di violenza fisica o morale; le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico; i messaggi discriminatori e/o degradanti che, anche attraverso l’uso di stereotipi, tendono a collocare le donne in ruoli sociali di subalternità e disparità; la mercificazione del corpo, attraverso rappresentazioni o riproduzioni del- la donna quale oggetto di possesso o sopraffazione sessuale; i pregiudizi culturali e gli stereotipi sociali fondati su discriminazione di genere, appartenenza etnica, orientamento sessuale, abilità fisica e psichica, credo religioso.