INFLUENCER E PAN D’ORO. CUI PRODEST?
Cosa influenza un influencer oltre alle vendite? Il prezzo, senza alcun dubbio. E qui chiederei agli addetti ai lavori, che dovessero leggere questa mia dichiarazione, di evitare di alzare il sopracciglio, perché le cose stanno esattamente così e dire il contrario sarebbe disonesto. Se poi, una forma di comunicazione commerciale opaca, suggerisce che l’incremento di prezzo (che un consumatore sano di mente dovrebbe aspettarsi senza stupirsene) sia giustificato dalla volontà dell’azienda di fare una donazione ad un ente non profit (come di solito è una struttura che si occupa di assistenza o cure mediche), allora questo incremento si sa che viene tendenzialmente tollerato dal consumatore che si sente di partecipare ad un gesto di solidarietà… Soprattutto a Natale questa cosa “ci sta” e “funziona” più che in altri momenti, anche se purtroppo “funziona” quasi sempre come spinta ai consumi e solo in rari casi come gesto consapevole e sentito.
Premesso che una donazione, se viene condizionata dall’acquisto di un prodotto, è intestabile solo ai consumatori acquirenti, diventa legittimo che qualcuno cerchi di conoscere le dinamiche e gli importi di queste donazioni. Soprattutto se l’operazione commerciale, vestita da buona azione natalizia e amplificata da un’influencer, non viene descritta in modo chiaro. La piena trasparenza eviterebbe la “ricerca di informazioni”. È proprio quello che è successo in questi giorni, con la vicenda di un pandoro dotato di due “griffe”: quella aziendale e quella dell’influencer ingaggiata per dare risalto al gesto. L’indagine puntuta di una giornalista, allenata a rovistare nel torbido e a sgamare i furbetti, ha messo in luce la nebbia e l’improvvisazione che dilaga nell’informazione fra tutti i protagonisti di questa vicenda, che sarebbe anche “giustificabile” se si trattasse solo di impreparazione a gestire la comunicazione di un percorso, delicato come quello di rendere pubblico un gesto rivolto a chi agisce con intenti di cura del prossimo e che per farlo in serenità ha solo necessità di sostegni economici. Ma qui si è verificato un inciampo reputazionale che è anche l’occasione plastica per misurare il senso delle operazioni commerciali che si avvalgono di influencer. Sono infatti sorte molte domande: perché l’influencer fa mostra di sé in questa operazione se è l’azienda che compie la donazione e soprattutto se l’influencer viene “solo” pagata per amplificare il messaggio (e anche da qui il prezzo del prodotto) e non partecipa invece alla donazione (se lo facesse potrebbe dirlo)? Perché l’istituto destinatario della donazione non conosce i dettagli dell’operazione? Perché i vari uffici stampa coinvolti dimostrano di essere semplici portavoce di un’operazione priva di dettagli trasparenti e tuttavia carichi di retorica? È proprio così difficile fare una comunicazione di stampo sociale davvero trasparente? Chi sono i “professionisti” della comunicazione aziendale e commerciale che hanno costruito questo papocchio? Sono professionisti? I consumatori che acquisteranno quel prodotto, in che modo verranno messi nelle condizioni di sapere quanto del prezzo da loro pagato verrà devoluto all’Istituto destinatario? Potranno sapere i consumatori quanto e se l’influencer partecipa “di suo” a quell’operazione al di là di metterci la faccia (o il marchio)? E vista l’importanza del gesto dichiarato dall’azienda, sarà possibile conoscere il compenso ricevuto dall’influencer? Ci sarà qualcuno che saprà giustificare adeguatamente l’affiancamento dell’azienda ad una persona nota, visto che anche l’azienda, vista la sua storia centenaria, non è poi così sconosciuta? Chi si è occupato di questa faccenda in azienda e per l’azienda, si è mai scomodato di leggere il codice etico aziendale? Soprattutto il punto “3.2-Trasparenza Il principio di trasparenza si basa sull’autenticità, chiarezza e accessibilità dell’informazione. Tale principio deve essere osservato nelle relazioni con gli interlocutori interni ed esterni, fornendo a tutti gli interessasti le dovute informazioni in modo inequivocabile e chiaro, adottando una comunicazione di immediata comprensione.”
Diventare influencer non capita per caso. Si decide, si programma e si mette in atto seguendo logiche più o meno consapevolmente definibili “di analisi psicoattitudinale di un pubblico”. La differenza la fa poi lo scopo e l’utilità dello scopo. Da “pane per gli ultimi” a “pane d’oro per pochi” è un attimo. Cui prodest?
Pietro Greppi
ethic advisor e fondatore di Scarp de tenis
Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it