AI PUBBLICITARI SERVE LA NEURO
C’è una grande differenza fra l’impegno profuso per comprendere quale prodotto sia necessario e quindi richiesto “dal mercato” e una tecnica pensata e utilizzata per indurre all’acquisto di un prodotto “X” usando le neuroscienze. Parliamone.
Spero intanto non serva dire che il termine “mercato” è una brutta sintesi di “persone che possono comprare”. Persone come tu che leggi, che magari ti occupi di marketing, che fai la spesa e giri cmq per i centri che ormai sono quasi solo commerciali. Ma quando compri qualcosa, perché lo fai?
Qualcuno ha cominciato (da qualche anno) a concentrarsi sul fatto che nella scelta di un prodotto le emozioni tendono a sovrastare la razionalità.
Chi è operativo nelle attività di ricerca e di marketing sa che una gran parte dei prodotti che nascono oggi non sopravvive all’incontro con “il mercato”. Circa l’80% smette di esistere dopo pochi incontri con il pubblico. Perché? Il buon senso suggerirebbe che l’impegno di dar vita ad un prodotto dovrebbe essere proporzionale alla sua utilità. Ma dato che pare viga la regola del “tutto è relativo”, le aziende focalizzano comunque le loro attenzioni su quanto hanno pensato di produrre secondo logiche spesso imbarazzanti e spacciate per innovazione, affidandosi a consulenti che “studiano” l’efficacia di ogni elemento che accompagna un determinato prodotto: spot, packaging, etichette… fino a concordarne la posizione in una vetrina o su uno scaffale. Questi “studi” si concretizzano in ricerche “di mercato”, test, interviste, sondaggi… Tramite questi “ingegni” si vorrebbero individuare le caratteristiche preferite da un campione di persone, confidando che queste dicano davvero quello che pensano, confidando inoltre che poche centinaia di verdetti possano rappresentare quelli di qualche milione di individui. Crediamoci. In questi approcci ci si è accorti che manca però la possibilità di “approfittare delle emozioni” che le persone provano nel confronto diretto con un prodotto che sta in un determinato posto, con una determinata luce, avvolto in una particolare confezione, con un prezzo dichiarato in vari modi. Ed ecco allora che sono arrivati dei nuovi esperti che studiano le emozioni provate in quelle determinate situazioni per strumentalizzarle a scopo commerciale. Da queste osservazioni deriva che un prodotto, per essere comprato, deve colpire l’emotività del consumatore e quindi questi nuovi esperti cominciano a parlare di “tipi” e “intensità” delle emozioni: e lo chiamano Neuromarketing. Il loro impegno diventa quello di valutare l’efficacia comunicativa del prodotto misurando le reazioni emotive, quelle che “prima”, con i sondaggi, non si riuscivano a registrare proprio perché capita spesso che le emozioni scalzino la ragione. Una “cosetta” traslata direttamente dalla neuropsichiatria e dalla neuropsicologia, quindi per nulla nuova nei suoi metodi e strumenti, tranne che per lo scopo neanche tanto recondito: scardinare le porte di accesso alle nostre emozioni per entrare a premere bottoni che altrimenti noi non premeremmo, usando l’encefalogramma (per identificare quali aree del cervello che si attivano quando guardiamo un oggetto), la lettura delle espressioni facciali, i movimenti degli occhi, la misurazione della frequenza cardiaca e respiratoria, l’intensità della sudorazione… Indagini possibili sia in laboratorio che in un punto vendita. La gravità di questa novità in campo commerciale (c’è già da qualche anno) è che viene accolta con entusiasmo da imprenditori e professionisti che non operano in campo medico per curare un tuo disturbo, bensì solo per venderti un prodotto. Per colpa dei loro comportamenti “scientifici” (che loro considerano un merito) potresti trovarti a chiederti “per quale motivo ho comprato questa cosa?”. Marketing e neuromarketing possono essere usati in modo sano, oppure no. Sta all’imprenditore e ai professionisti decidere quale uso farne.
È lecito tutto ciò che è legale? Dipende solo da ciò che si decide personalmente di fare. Io per esempio in questo settore decido di non farle certe cose, perché facendole non potrei più vivere in pace con me stesso. E tu che leggi? E voi?
Pietro Greppi
ethic advisor e fondatore di Scarp de’ tenisPer entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it