CAPTATIO BENEVOLENTIAE DEI COPY… E IL VUOTO
“Captatio benevolentiae, dal verbo capio (“afferrare”, “catturare”, “cercare di prendere, di ottenere”) e benevolentia (benevolenza) in caso genitivo, è un’espressione latina che, tradotta letteralmente, significa accattivarsi la simpatia.” (da Wikipedia).
Quando si comunica con uno scopo preciso, quello scopo si può più facilmente concretizzare se si è capaci di accompagnarlo con toni, modi e parole che risuonino “graditi” a chi ci ascolta. E per farlo, come si dice, “serve del mestiere” o qualche dote naturale istintiva che pochi hanno. Di solito chi ce l’ha arriva a fare il copywriter o il giornalista. Noto invece, da tempo, la trasformazione del lavoro dei “moderni” copywriter, e francamente faccio fatica a individuare se questo sia un sintomo di evoluzione. Solitamente accade che per sopravvivere ci si evolva, adeguandosi all’ambiente in cui si cresce o adeguando l’ambiente stesso alle proprie necessità. Nel caso dei pubblicitari, dei copywriter in particolare, questo genere di “osmosi”, che può generarsi o meno fra il mondo della pubblicità e la società di cui essa fa parte, è da sempre oggetto di definizioni contrastanti, quando non addirittura opposte. C’è chi dice (e sono tanti) che la pubblicità asseconda i desideri, ma anche chi dice (e io sono fra questi) che la pubblicità i desideri li genera. A supporto di quest’ultima osservazione basterebbe considerare che non puoi desiderare ciò che non conosci o che non hai avuto modo, almeno, di “vedere o sentire raccontare”.
Detto questo passerei quindi al tema del copywriting.
Scrivere per la pubblicità dovrebbe avere una funzione principalmente informativa sul perché esiste quel determinato prodotto e/o perché è diverso da altri simili sul mercato. E per questioni legate allo spazio e al tempo, che solitamente nella pubblicità sono molto ridotti, il copywriter dovrebbe avere fra le proprie qualità anche quella della sintesi efficace. Tanto che anche il suo ruolo viene spesso definito sinteticamente “copy” (ma questa è solo una battuta).
Oggi invece cosa accade, soprattutto nel web? Complici le esigenze del “www” (che è talmente vasto e in costante sviluppo che, se decidi di entrarci per farti notare, qualcosa da “metterci dentro” è necessario trovarla sempre) agenzie e aziende cercano incessantemente copy (e direi anche, e purtroppo, confusamente) cui affidare questo compito di “riempimento”. Il copy, una volta assunto o contrattualizzato, se accetta di stare a questo “gioco” che stravolge il suo ruolo originario (ma se è molto giovane non percepisce neppure questo stravolgimento), approccia lo spazio vuoto cercando di riempirlo con le fantomatiche regole del SEO, dimenticando che il suo mestiere sarebbe quello della sintesi, del raggiungimento di obiettivi di comunicazione e della ricerca della chiarezza. Questo perché ormai la classica pubblicità è diventata -nel web- una presenza (oltremodo fastidiosa) da trattare più o meno velocemente con marchi, immagini e frasi che vorrebbero essere d’effetto perché è sul web che si sta giocando la gran parte della ricerca di visibilità delle aziende. Assistiamo così a copy che vengono gestiti come fossero giornalisti. E non è raro che accada il contrario e che cioè (per carenza di professionalità vere) troviamo giornalisti che vengono trattati, o si fanno trattare, come fossero dei copy. Esempi di quanto evocato dal titolo di questo articolo li incontrate quando sul web trovate un titolo per voi interessante (che funziona appunto come una “Captatio benevolentiae”) il cui scopo è quello infatti di farvi leggere quell’articolo. Fin qui abbastanza normale. Ma il titolo promette in genere di offrire un’informazione che richiederebbe poche righe. Il copy invece (assistito da qualche grafico o altri abili gestori della tecnologia del web) vi trasporta per pagine e pagine (popolate ovviamente da varie pubblicità invadenti e autolesioniste) e allunga un brodo che un tempo sarebbe stato ristretto. E quasi sempre l’informazione promessa arriva solo alla fine e anche in modo blando e poco o per nulla soddisfacente. Ma intanto siete stati sul web per un po’ e siete stati circondati da messaggi di chi vorrebbe essere considerato commercialmente. Che mestiere è mai questo? Generazioni di pseudo copy che oggettivamente riempiono di vuoto spazi altrettanto vuoti in origine. Servirebbe un colpo di reni per ridare dignità al mestiere.
Forse è arrivato il momento di occuparsi del vuoto dentro di noi e di quello che ci sta circondando.
Pietro Greppi
ethic advisor e fondatore di Scarp de tenis
Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it