PACE!

MA LA PUBBLICITÀ DIFFONDE ANCORA IL TERMINE “GUERRIGLIA”.

Il titolo punta il dito in due direzioni. Quella generica e terribile della guerra cruenta, sempre sanguinosa e funesta, che riaffiora continuamente come “soluzione finale” di un dialogo mancato fra poteri forti dei Paesi… e quella più stupida, deleteria e infestante che è la maledetta abitudine, soprattutto del mondo della comunicazione commerciale, di utilizzare una quantità di termini derivati dal mondo militare. Un’abitudine, forse la peggiore, che dimostra quanto il mondo della pubblicità sia poco incline a intervenire sui propri difetti e sugli effetti collaterali del proprio operare atti divulgativi.

Purtroppo da una pagina pubblicata su una testata non si può fare molto per cercare di mettere la parola fine all’impiego degli eserciti e a stimolare una mondiale e convinta stigmatizzazione di chi ricorre alla violenza in generale. Certo si possono almeno invitare i lettori di una pur piccola pagina alla riflessione, ma a cosa serve? Anche “il riflettere” non è purtroppo esercizio così ampiamente esercitato. E provo un certo “terrore” se penso a che tipo di riflessioni ricorrano nei sostenitori della violenza. I Generali o i Capi di Stato mica le leggono queste righe e purtroppo non credo le leggano neppure i politici che stanno più in basso nelle gerarchie governative. Se questa pagina arrivasse poi sulle scrivanie dei produttori e dei venditori di armi immagino che, anche se la leggessero, lo farebbero con un vago sorriso ebete di supponenza. Avere il potere di infierire con la forza o di sostenere chi la forza la usa senza scrupoli, pare dia soddisfazione a certi piccoli esseri, umani per sbaglio, che continuano però a razzolare o, peggio, governare.

Ciò non toglie che quello della guerra è un male da estirpare, una malattia mentale che contagia facilmente le menti meno attrezzate a fare approfondimenti e sulle quali quindi è più facile esercitare un certo potere. E viene da dire che questo male andrebbe eliminato con le buone perché altrimenti, con le cattive, non si darebbe dimostrazione di coerenza e non si farebbe altro che continuare ad alimentare il cerchio perverso della violenza.

Ma quali sono “le buone” pratiche da adottare, almeno per indebolire l’abitudine a pensare ai conflitti armati, come soluzioni? Potremmo cominciare con l’eliminare i termini che evocano quel “mondo” e dal quel mondo ahimè prendono spunto. E un ambito dove quei termini si affollano è proprio quello della pubblicità. I pubblicitari di ogni età pare non si sentano completi e appagati se non circondandosi di termini collegati al violento mondo degli eserciti militari.

Ci si mettono d’impegno anche i sedicenti guru del mestiere e i loro alfieri, ma non scherzano neppure le scuole di ogni ordine e grado incaricate di formare le menti dei futuri creativi e dei “manager” del settore, che suggeriscono ai loro adepti letture “storiche” inneggianti tecniche di guerra, di conquista del potere e di gestione del nemico,  immaginando forse di fornire un buon servizio a quell’“esercito” di persone che ogni anno si affacciano sul mercato del mondo della comunicazione convinte di dover combattere contro qualcuno.

Chi è nella posizione di poterlo fare, cominci a diffondere un piccolo manuale delle parole nuove da imparare per “rottamare” quelle pericolose e indegne cui faccio chiaro riferimento con questo mio intervento. Non intendo pronunciarne neppure una di quelle parole, ma so che sapete a quali mi riferisco. E se non sapete come sostituirle provate a riflettere più del solito e cercate di essere davvero creativi. E concludo invitandovi anche a togliere armi giocattolo, soldatini e giochi elettronici violenti dalla lista dei regali per i vostri bimbi. Pace.

Pietro Greppi

ethic advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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