MA UN PRODOTTO PUÒ SEDURRE?
Crescono i pubblicitari “fatti con lo stampo”. Nel senso che si moltiplicano come le cavallette in un sistema che non impara dai suoi errori perché semplicemente ritiene di non farne. Anzi. E aumenta la parcellizzazione del pensiero e delle “neo-professioni” che ne derivano. Accade perché il mondo della pubblicità è auto-riferito e riceve, ormai da molti anni, incaute deleghe dal sistema produttivo che gli si affida perché gli riconosce, incautamente appunto, la capacità di sedurre i committenti. Nessuno che si chieda se questo abbia qualche risvolto critico per gli effetti collaterali che tale “potere” produce … perché se trasmetti il vuoto e lo amplifichi, quello che generi è un vuoto più grande. E il vuoto è infido perché, non essendo visibile, lascia spazio all’immaginazione di chi lo incontra, che lo confonde con la libertà di “credere agli unicorni”. Si crea e si replica così da tempo, una strana evoluzione verso il basso che riproduce errori e genera danni culturali, ne amplifica l’effetto e costruisce logiche che con l’etica non sono neppure parenti alla lontana. Anzi, l’etica viene “colta” come un’ulteriore opportunità di sedurre il pubblico e il cliente/committente che quel pubblico intende raggiungere. Da ciò deriva che anche l’etica, che potrebbe essere un punto di ripartenza edificante per l’intera società, sta diventando un mantra svuotato di reali capacità di produrre benefici sociali. In altre parole l’etica è sempre più una parola come tante altre, che genera soprattutto convegni e poco altro. Ma essendo trattata da chi intende sedurre i propri interlocutori come l’ennesima potente formula per “cercatori” di clienti … anche la parola etica viene banalizzata (ma con enfasi scientifica) e si trasforma in un altro elemento utile alla fascinazione degli astanti. E così anche l’etica ce la stiamo giocando, usandola come elemento che nutre parte della “creatività”, utilizzandola “magistralmente”, ma sempre e ancora con l’intento di generare soprattutto … utili. Nel tempo, molti hanno proseguito su questa via aggiungendo, forse senza neppure accorgersene, oggettiva distanza fra significati e significanti ospitati nei siparietti di 30” (più o meno) che sono sempre più né carne né pesce e pure di difficile leggibilità. La gran parte dei “professionisti” del settore si è appiattita sulla convinzione che un prodotto debba sedurre perché l’artificio è uno degli strumenti più usati da chi desidera aumentare artificialmente la realtà usando tecniche raffinate. La creatività, nella pubblicità, ha insomma assunto un significato diverso: “uno spot è tanto più definibile creativo quanto più serve creatività a chi lo vede, per collegare la scena illustrata al prodotto per cui è stata pensata”. In molti hanno proseguito in questi percorsi artificiali perdendovisi, affascinati dall’idea di poter fare i registi e, più che creativi, creatori di modelli e di star perdendo il senso di un lavoro che potrebbe invece fare molto più di quanto dimostri di poter e saper fare. Uno sforzo legittimo, ma inutile, quello dei creativi moderni, aspiranti Spielberg a caccia di “simil-Oscar” che il comparto sforna generosamente (e a pagamento). Troppi pubblicitari che riescono a farsi assegnare un budget corposo, tendono a spenderlo creando dei mini-film. Ma spesso, davanti all’opportunità conquistata, una veloce autoanalisi li porta ad assumere i registi che vorrebbero imitare per godere della loro luce riflessa. E capita allora che i due mondi, il cinema vero e la sua imitazione, si accorgano di non essere compatibili. Lo dimostrano i risultati ridicoli di spot da 30”, 60”, 90” etc che vorrebbero essere cinema pur senza averne il senso. Ma per i soldi questo e altro. Alcuni mini-film sono spesso anche molto belli tecnicamente, ma motivati da cose che con il cinema non hanno nulla a che vedere e che attribuiscono al prodotto cui devono l’esistenza, deludenti e commercialmente pericolose overpromise che qualcuno continua a definire atti seduttivi. Si sappia: nessun prodotto può sedurre.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it