LA COMUNICAZIONE CI PARLA (anche) DI CHI LA FA
La comunicazione, in generale, ci può consentire di conoscere non solo i contenuti relativi al tema che veicola in quel determinato momento, ma ci parla anche (e per certi versi azzarderei un convinto “soprattutto”) di chi la compone e l’articola. Non è cosa da poco. Non è un dettaglio banale. Perché in fondo ogni comunicazione è come lo svolgimento di un compito, proprio come quello che facevamo nelle scuole primarie: dato un tema sviluppatelo. Ognuno realizzava il suo componimento e, ovviamente, non ce n’era uno uguale all’altro. E c’era sempre quello che meritava di essere letto agli altri, come esempio di “qualità”, fantasia, profondità … che portava spesso anche una sorpresa, perché la personalità che traspariva da quel tema, sviluppato e indicato come meritevole di attenzione, ci dava modo di vedere con altri occhi l’autore/autrice il cui aspetto ci sembrava a volte non corrispondente alla sostanza che invece emergeva dalla lettura di quel contenuto. Capivamo allora che dietro alle parole c’è qualcosa di più di un’immagine. C’è un pensiero che può scatenare in noi visioni inaspettate, reali o artificiali. Provavamo, chi più chi meno, la sensazione del potere della comunicazione. Ma percepivamo, chi più chi meno, che la comunicazione ci racconta di chi la fa. Produrre un contenuto, inevitabilmente ci espone e ci impone ad aprirci, manifestando più o meno apertamente cos’abbiamo dentro. Una specie di gioco della verità. Ogni volta che comunichiamo è come se ci mettessimo sul lettino dello psicanalista, anche se al suo posto c’è invece un pubblico più o meno ampio che ci “leggerà”. Fra tutte le forme di comunicazione, c’è quella commerciale che è anche un particolare teatro quotidiano, perfetto per leggere costantemente tra le righe e -volendolo fare- comprendere chi c’è davvero dietro a quelle che siamo abituati a identificare come semplici “campagne”, che sono anch’esse componimenti e che ingenuamente e superficialmente pensiamo ci parlino solo di una marca. Invece ci parlano -anche- delle persone che le pensano. Dietro a quelle articolazioni di parole e immagini c’è la loro personalità … e non potrebbe essere altrimenti. C’è sempre “un segno” che, se riusciamo a coglierlo, identifica l’essenza dell’individuo e/o del gruppo che ha generato quel contenuto. Accade sempre, anche se tecnicamente l’elaborazione di una campagna prevede il coinvolgimento di più persone. Nonostante ci sia una mediazione, alla fine c’è una personalità che prevale e riesce a far passare il proprio pensiero per comunicare un concetto che da quel momento è destinato ad essere ri-condiviso con un pubblico indifferenziato e spesso impreparato. Quel contenuto, dal microcosmo di un’agenzia che contiene a sua volta i microcosmi ancora più micro dei suoi componenti, viene spalmato e in qualche modo imposto al macrocosmo di un “pubblico in ascolto” scarsamente abituato ad analizzare. Se infatti ci chiedessimo sistematicamente, che personalità stiamo seguendo assorbendo i contenuti di uno spot, ci renderemmo conto del rischio che corriamo di inquinare, nel bene o nel male, la nostra personale consapevolezza e lo spirito critico di cui siamo dotati, ma che poco siamo abituati ad utilizzare. Se dietro la forza della ripetizione e dell’ubiquità, che caratterizzano i messaggi commerciali, dovesse celarsi una mente vuota e distorta, ma a suo modo astuta, egocentrica e irresponsabile, potremmo non capire che quella particolare psiche, incidentalmente pagata per farci desiderare un prodotto, potrebbe invece arrivare ad influire su ben altro: sulla nostra individuale capacità di discernere fra bene e male, fra reale e artificiale, fra ideologia e idee. Chi comunica per scopi commerciali (o politici) ha la stessa responsabilità di chi si affaccia ad un balcone sotto al quale ci sia un pubblico incapace di leggere in prospettiva lo scopo intimo di un enfatico discorso. Da un ideale balcone si ha il privilegio di dominare una platea e ciò che da quel luogo si trasmette potrebbe amplificare anche un pensiero pericoloso per la società. La storia insegna. Vale quindi la pena ascoltare anche la pubblicità con orecchie più attente, cercando di percepire la qualità delle “qualità” di chi la fa.
Pietro Greppi
ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis
Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it