ADVERTISING: DA OMOLOGANTE A OMOLOGATO
Sapete vero com’è il mondo della comunicazione commerciale?! Ci siamo immersi. Un sistema che per l’iniziativa di alcuni, ha cominciato a comportarsi in un certo modo. Via via imitandosi o differenziandosi, gli attori del sistema hanno per anni escogitato nuovi metodi per far conoscere prodotti e aziende. Metodi diventati progressivamente oggetto di imitazione con varianti più o meno evidenti. Ma siccome in pochi secondi, in spazi risicati e con gli elementi a disposizione -uguali per tutti- non si riescono a creare più di tante combinazioni diverse, dopo un po’ -oggi- si sono ritrovati tutti a produrre e a ripetere comunicazione interscambiabile, prevedibile, banale, sovra strutturata all’inverosimile, vuota, spesso lesiva della dignità anche solo professionale e del buonsenso di chi la produce e di chi la riceve, frequentemente anche di difficile interpretazione (cioè il contrario della comunicazione). Guardatela bene la comunicazione commerciale di oggi. Anche se doveste esser stati voi ad averla prodotta, guardatela da fuori. Onestamente e freddamente non potete non accorgervi che appare ormai tutta un teatrino più simile alla recita di classe dei bambini e che, come nelle recite dei bambini, l’obiettivo appare quello di far vedere quanto si è bravi a recitare. Solo che i bambini non intendono vendere nulla e a loro si perdona ogni inciampo.
La pubblicità, l’advertising, la comunicazione commerciale, o come diavolo la si voglia chiamare per accontentare puristi o meno, è ormai arrivata non solo a ripetersi (che è la sua caratteristica più nota, evidente e fastidiosa), ma anche a ripetere il modo di costruire i messaggi, nutrendosi di contenuti spesso non suoi e comunque sempre abbinati artificiosamente al prodotto, per cercare di farlo apparire dotato di qualità che mai avrà se non “per finta”. Come sopportare l’idea di continuare ad occupare il tempo in simili esercizi? Per divertirsi? Ma le aziende non è accettabile che possano essere così tanto felici di pagare il parco giochi alle agenzie. Eppure in questo mestiere pare rimasta intatta solo la storica abilità, di chi lo popola, di farsi pagare per far apparire interessanti delle banalità imbarazzanti.
E ciò che stupisce di più un osservatore, che sappia mantenersi neutro, sono le parallele dichiarazioni di crisi economica delle imprese che licenziano e le contemporanee dimensioni dei capitali e dell’impegno di “intelligenze” sciupati, sprecati in “progetti” il cui la superficialità con cui si riempie il vuoto non è così evidente ai più solo perché ben mimetizzata in un vuoto d’insieme, comune, diffuso, addirittura omologato.
È come se fosse avvenuto un processo di omologazione riflessa. L’adv, che ha in sé il germe dell’omologazione dei comportamenti come chiave passe-partout per l’avviamento di ciò che viene definito e rincorso come “successo commerciale”, pare aver talmente assorbito quel germe -da essa stessa creato- che a furia di tentativi di omologare il suo pubblico (ahimè spesso riusciti) vi si sia talmente immedesimata che non riesce più neppure lei a distinguere chi sia l’entità omologata. L’omologante è diventato talmente efficace che è riuscito ad omologare anche se stesso. Ed è così che il sistema ha da tempo cominciato a diventare un buco nero che attira e annulla ogni energia disponibile concentrandola dentro di sé. Un sistema impaurito che sa di dover cambiare totalmente, ma che dissimula perché ancora popolato da troppe persone che non hanno né il coraggio, né la voglia, né le idee chiare su come farlo. Neppure i segnali evidenti di come siano diventati urgenti la salvaguardia dell’ambiente e il recupero del senso di solidarietà in senso ampio, stanno producendo i necessari cambi di paradigma. Nonostante siano l’occasione epocale per concepire nuove forme di intervento corale, queste urgenze reali stanno producendo “alla velocità della rete” solo imprese e iniziative che ancora usano solo il colore verde o la creazione di nuovi marchietti per rappresentarsi come modelli ecologici o socialmente responsabili.
Il green-washing e le eco-truffe dimostrano l’immaturità di un sistema che non ha ancora assunto il coraggio di fare i conti con i consumatori su trasparenza, credibilità, affidabilità e scientificità di tutte le sue “affermazioni etiche”.
Pietro Greppi
ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis
Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it