ETICA IN COMUNICAZIONE PUBBLICITÀ FORMATIVA? UNA FRONTIERA DA ESPLORARE.  

 «Humanitas, per Terenzio, significa anzitutto volontà di comprendere le ragioni dell’altro, di sentire la sua pena come pena di tutti: l’uomo non è più un nemico, un avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma un altro uomo da comprendere e aiutare» (Pontiggia-Grandi, p. 308)

 

Come viene utilizzata la pubblicità oggi e come potrebbe essere utilizzata invece? Dovrebbero cominciare a chiederselo le aziende, suggerendo anche ai loro consulenti per la comunicazione di farsela qualche domanda in questo senso, anziché cercare sempre il sensazionalismo di qualche meteora, gadget inutili e improbabili, testimonial esosi e inutili … Chiediamocelo tutti, perché la risposta non credo sia più riscontrabile con attendibilità nei vari corsi fotocopia e nei manuali di cui le librerie specializzate sono gonfie. Libri e slide power-point carichi di storie, ma datati, che stimolano la reiterazione di modelli di un tempo che fu, ma di cui oggi non è proprio possibile replicare gli effetti (sempre che fosse del tutto auspicabile e sensato anche allora). Libri e slide power-point che, anche quando parlano di innovazione, mantengono la patina del vecchio modo di concepire la comunicazione commerciale che oggi dovrebbe essere invece ripensata dalla base, per trasformarsi in uno strumento di espressione di un umanesimo perduto.

Con buona pace dei vari sofisti del settore che tendono a restituirci una funzione “alta” di questa “disciplina” per evitare che essa modificandosi potesse obbligarli a modificare loro stessi… la pubblicità, lasciatemelo dire, è fin banale nei suoi scopi. Potremmo riassumerli in due semplici fondamentali: far conoscere e far desiderare ciò di cui essa si occupa. Nulla più. L’osservazione critica non è però da farsi su questi fondamentali, bensì su come fino ad oggi sono stati interpretati. Aziende e agenzie dovrebbero imparare a leggere lo stimolo che arriva dalla vita vera per capire che potrebbero trarre molti più benefici in un revisionismo totale della pubblicità e trasformare quei pochi secondi, moltiplicati per centinaia di volte sui vari media disponibili, in qualche cosa che determini una funzione utile anche sul piano sociale di cui le aziende potrebbero andar fiere e costituire con i loro fatti una rete di esempi da imitare. Cose che non si esprimono descrivendo le illusorie proprietà di un biscotto attraverso la strumentalizzazione dei buoni sentimenti familiari, e neppure facendo venire i sensi di colpa a suon di “pugni nello stomaco” come accade oggi quando ci si vuole occupare di raccolte fondi per istituzioni che affrontano i vari disagi del mondo. Come ripensare quindi la pubblicità? Partendo dalle sue stesse caratteristiche e utilizzandole per scopi davvero alti e qualificanti. Le sue caratteristiche distintive – l’onnipresenza, la ripetitività e quindi la pervasività – la rendono di fatto un ente formatore che si frappone con grande efficacia (ahimè!), ma in senso contrario, agli impegni profusi dai vari istituti della società – come la famiglia e la scuola – per formare un’umanità responsabile e consapevole.

Le capacità di questi enti di influire sulla formazione dell’individuo, soccombono facilmente e frequentemente alla forza dirompente della pubblicità, perché involontariamente si trovano a competere con la forza persuasiva e quantomeno distraente che questa possiede.

Perché l’advertising possa meglio integrarsi dal punto di vista sociale potrebbe/dovrebbe tirarsi su le maniche e fare il lavoro che riesce a fare meglio: ripetere determinati messaggi e inviti ovunque. Quali messaggi? Quali inviti? Direi in genere di tipo correttivo, formativo, evolutivo … e non c’è che da scegliere. Basta osservare il livello di degrado che si è formato nella nostra società. Un degrado di cui è certamente complice anche la pubblicità, sebbene solo in parte. Un degrado che si manifesta anche attraverso la reiterazione di modelli artificiali proposti dai vari media sempre più presenti nella vita anche dei più giovani e dalla pubblicità stessa che su quei media si “fionda” con ingordigia dissennata e pericolosa. Un degrado che potrebbe essere “riparato” ripetendo quante più volte possibile l’importanza del rispetto, della dignità  e della consapevolezza di essere esseri sociali. Messaggi che le aziende potrebbero pensare, diffondere e firmare. Il “consumatore” capirebbe e vi seguirebbe.

 

Pietro Greppi

Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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