Cosa intendiamo per SOCIALE?
Il comparto della comunicazione considera “il Sociale” come un settore. Ma povero. Con la conseguenza che aziende e agenzie se ne occupano solo a volte e, quando lo fanno, lo fanno seguendo logiche di opportunismo più o meno velato e con metodi spesso retorici e basati sulla trasmissione del dolore per stimolare sensi di colpa. E in questo non aiuta certo la posizione di subalternità al sistema in cui restano le varie associazioni che occupano appunto lo spazio del Sociale chiedendo sostegno come meglio riescono. Associazioni spesso meritorie, ma altrettanto spesso vittime di opportunismi di torbide figure che danneggiano poi l’operato di chi è in buona fede. Sociale è quindi – e va detto – un termine che viene frainteso da molti, troppi, come indicativo di questioni che riguardano solo le difficoltà e le miserie delle persone. Ma non è così. O meglio questa è una definizione fortemente fuorviante e forse di comodo. Sarebbe il caso che le persone (del comparto della comunicazione e non) imparassero a considerare il Sociale per quello che è davvero: un grande ombrello sempre aperto sotto cui conviviamo tutti. Un ombrello di cui è necessario comprendere le funzioni per rispettarle. Perché se non si è consapevoli di condividere uno spazio comune non si può comprendere che sgomitare spinge altri fuori dalla copertura. Se fossimo in un sistema sano, la comunicazione delle aziende potrebbe trasformarsi in fonte ispiratrice di atti responsabili da premiare. Responsabilizzare aiuta infatti la consapevolezza individuale. La questione è: rendere o essere consapevoli di che? Dipende ovviamente dalla cultura che nel tempo abbiamo assimilato dalle varie fonti che emettono segnali. E da cosa abbiamo trattenuto. E da come l’abbiamo utilizzato. Dipende anche dall’obiettivo del messaggio che abbiamo raccolto. Possiamo essere consapevoli di “potercela fare”… ma cosa vuol dire? O possiamo diventare consapevoli di far parte di un sistema totalmente collegato a quell’ombrello, dove le persone che vediamo ai margini, o addirittura fuori da quell’ombrello, sono il risultato di una società abituata male, dove sgomitare è diventato un modello da imparare anziché essere considerato un atto violento e da maleducati. L’ho già detto altre volte. Ma mi capirete perché la ripetizione ossessiva è una “tecnica” pubblicitaria che ben conosce chi mi legge! Ripetere, dai e dai, qualcosa fa. Per questo continuo a dire che promuovere modelli positivi da imitare studiandone e suggerendone in ogni contesto dovrebbe e potrebbe diventare il contenuto delle campagne di ogni azienda. Un nuovo modo di pensare, promosso premiandone concretamente l’applicazione per innescare una spirale positiva. Infiniti altri suggerimenti nascerebbero di conseguenza, generati da semplici cambi di paradigma imitativi delle persone, delle aziende, delle agenzie. Una competizione inclusiva basata sul fatto che la ricchezza di una società è nelle persone e non nelle cose; che le aziende senza persone non esistono; che ogni persona è una ricchezza che non possiamo permettere che esca dall’ombrello; che la dignità degli individui va preservata andando loro incontro prima che si trovino nelle condizioni di chiedere. Non sono temi esclusivi della politica. Tutto è politica. E se le persone venissero costantemente stimolate in questo senso arriverebbero a riconsiderare il termine ricchezza secondo un significato più alto. Perché è importante trasmettere che occuparsi dell’altro è un dovere in una società degna di tale nome e che dirlo non è buonismo o populismo, ma l’unico modo per crescere. Perché agire affinché questa sensibilità diventi contagiosa e costantemente presente dovrebbe essere il principale obiettivo di chi vuole farsi seguire dalle persone (“consumanti” o meno). E misurare la dimensione di questo contagio dovrebbe essere il nuovo metro che potremmo sentire declamare in tv insieme ai tanti altri “Audi…” e al posto del MIB e del Nasdaq. Altro che Bruce-colini!
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale – non verbale
Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it