La strategia del bene comune

Pietro GreppiPerché una rubrica per parlare di etica in comunicazione? 

Potrei rispondere che è proprio perché molti si chiedono a che pro si dovrebbe introdurla fra le competenze professionali messe al servizio dei clienti e addirittura si interrogano su cosa c’entri l’etica con le imprese e la comunicazione. Già questo basterebbe per stabilirne l’urgenza. Ma l’argomento merita approfondimenti e costanti riflessioni, soprattutto nel comparto della comunicazione commerciale e informativa. In questa rubrica, a lunedì alterni, proverò a convincere gli scettici.

Il pensiero etico in comunicazione va prima capito, assorbito e poi applicato perché riduce gli sprechi, migliora l’utilizzo dell’intelligenza disponibile e aumenta l’efficacia delle azioni promosse. Induce nuove forme di approccio creativo per il fatto stesso di costringere a una costante verifica di correttezza del proprio percorso. Cambia i paradigmi di riferimento. Induce comportamenti corretti, responsabili e attenti “all’altro” che sono grandi portatori sani di vari benefici: benefici reciproci (i famosi win-win), benefici a lungo termine (la fidelizzazione) e benefici costruttivi, capaci cioè di edificare solide basi su cui costruire un percorso di crescita.

L’etica potremmo insomma considerarla un “nuovo” (urgente) strumento di formazione personale e professionale che consente di formare una contagiosa cultura del rispetto e che contiene in sé il germe della crescita, quella positiva, che conviene a tutti. Perché i successi duraturi (anche commerciali) e la crescita di una società avvengono come naturale conseguenza di un comportamento etico consapevole e riconosciuto.

Non è “scritto da nessuna parte” che per ottenere risultati sia necessario un approccio che ignori l’etica. E chi mette in dubbio la funzione positiva dell’etica manifesta esplicitamente una propria repulsione per questa “disciplina” oltre a dichiarare involontariamente di far parte di coloro che l’etica non la considerano.

Mi permetto di dire che per i comunicatori e le imprese l’etica dovrebbe essere come una patente a punti.

Si tratta di un atteggiamento mentale e culturale basato sulla consapevolezza della responsabilità individuale. E se sei un professionista della comunicazione, se ti occupi di impresa, di pubblicità, di marketing, di politica la tua responsabilità è particolarmente grande. Almeno quanto il numero di persone su cui incidono le tue scelte e le tue azioni.

L’etica richiede impegno, certo. Ma non è un freno allo sviluppo. E’ invece un acceleratore che pochissimi “osano” premere solo perché non sono abituati.

Se una “strategia comunicativa” produce fatturato di solito ci basta … ma degli effetti collaterali non ci si occupa. Cosa sono gli effetti collaterali della comunicazione? Faccio un esempio fra i tanti che faremo: incrementare le vendite di alcoolici è ritenuto un successo per chi li produce e li vende. Ma la cirrosi, lo stordimento in situazioni pericolose, etc … di chi eccede nel bere, come si riflettono sui suoi consumi futuri e sulle reazioni di tutti coloro che direttamente o indirettamente ne sono coinvolti? Il cliente tornerà? Sarà in grado di farlo? Avrà stima della nostra azienda? Che genere di catena s’innescherà a fronte di un incidente di qualunque natura il cui protagonista sia il “nostro” prodotto, la Marca o il suo testimonial…?

Pietro Greppi

ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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