A proposito di #coglioneNo
Niccolò Falsetti, Stefano De Marco e Alessandro Grespan, con i contenuti dell’operazione #coglioneNo, sono riusciti ad accendere il dibattito su una questione rilevante e utile per quella ampia comunità dei “creativi” che Alfredo Accattino, nella sua petizione, ha stimato intorno ai due milioni.
La questione è: le idee vanno pagate.
Non riguarda solo i giovani e non riguarda solo i creativi pubblicitari. La petizione è arrivata a 14mila firme in 51 giorni. I contenuti di #coglioneNo hanno superato il milione di views in meno di 72 ore, su YouTube. Non faccio confronti tra le due iniziative. Le due operazioni non vanno confrontate, semmai sommate.
Mi interessa segnalare numeri comunque significativi.
E segnalo che la petizione di Accattino ha venti punti importanti, #coglioneNo ne tocca uno solo, ma fondamentale: avere idee è un lavoro e come tale va pagato.
Nei giorni di lancio della petizione, spiegai il mio punto di vista allo stesso Alfredo Accattino: “Sono tra i primi firmatari della petizione ma 20 punti sono troppi e diventano inevitabilmente un wishful thinking. Dobbiamo unire gli sforzi per ricordare una cosa sola fondamentale”.
Questa sola cosa fondamentale è: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro (articolo 1 della Costituzione) e il lavoro va sempre remunerato (articolo 36 della Costituzione).
Il settore Pubblico deve essere il primo a rispettare la Costituzione. Altrimenti legittima analoghi comportamenti nel Privato. Ogni gara Pubblica e quasi tutte le gare del settore privato tradiscono la Costituzione quando chiedono la presentazione di idée creative senza pagare la partecipazione.
Vale per l’attuale gara Telecom, per la famigerata gara Ferrarelle 2011 e vale per il Ministero del Lavoro, recidivo su Zooppa. Per non parlare dell’uomo nuovo Renzi e il logo di Firenze. 5000 le idee presentate. Se la giuria dedicherà almeno un minuto di attenzione a ogni lavoro, ci vorranno 83 ore per valutarli. Vi lascio immaginare l’attenzione.
“Ma nessuno costringe nessuno a partecipare” è una posizione ipocrita, che finge di ignorare le difficoltà, talvolta vera disperazione, dietro a questa “partecipazione spontanea”.
Il crowdsourcing è burro per le chiappe applicato al lavoro creativo. Un ultimo tango letale che sta uccidendo una serie di professioni. Mentre varie scuole e università continuano a illudere decine di migliaia di giovani, mungendo le famiglie, senza fare parola delle prospettive. (A proposito: che prospettive offriamo ai giovani)
Ripartiamo dai fondamentali e recitiamolo come un Mantra: la nostra Costituzione dice che il lavoro va pagato. Il nostro lavoro è avere idee. Le idee si pagano.
Rinunciare ai princìpi costituzionali è sicuramente da coglioni.
Ma giocare sulla coglioneria o sulla disperazione, è profondamente immorale e irresponsabile. Vorrei che qualunque azienda che ami parlare di responsabilità sociale riflettesse su questo prima di usare la gara come strumento di selezione.
Non è un comportamento virtuoso e ha conseguenze negative.
Ogni volta che abbandoniamo norme etiche facciamo fare a tutti un passo indietro verso la “giungla caotica” da cui veniamo.
Ringrazio Niccolò Falsetti, Stefano De Marco e Alessandro Grespan per il loro contributo. Mi piacerebbe incontrarli.
Massimo Guastini