Grazie a Dio non prego
Giovedì 5 dicembre, in occasione dello “IAA excellence in communications awards award” mi è stato chiesto un intervento su “innovazione e creatività pubblicitaria in Italia”. Vorrei condividere alcune riflessioni anche con i lettori di questa testata.
La creatività può sbocciare “spontaneamente” e persino “casualmente”. È un fatto per lo più individuale, richiede competenza ma non necessariamente un humus ideale. L’innovazione, invece, oltre che di creatività ha bisogno di condizioni favorevoli: denaro, politiche sensibili, una società portata a valorizzare e incentivare i creativi. Richiede intraprendenza, e abbastanza passione da assumersi qualche rischio.
Che l’Italia, a tutti i livelli, disincentivi i creativi, è ormai arcinoto. Per questo non riusciamo ad attuare vera innovazione. È solo di qualche giorno fa la notizia di Laura Merotto, un’ingegnere aerospaziale al Politecnico di Milano, “assegnista” con contratto scaduto a ottobre, che ha vinto l’Euwiin International Award 2013, ma non ha i soldi per andare a ritirare il premio. Eppure il suo progetto sugli endoreattori ibridi aprirebbe scenari realmente innovativi. Potrebbe portare alla costruzione di aerei supersonici capaci di coprire la tratta Roma-Tokyo in un’ora. Laura Merotto sta pensando di proseguire le sue ricerche all’estero.
Dal macro al micro… Il sistema pubblicitario riproduce le stesse problematiche. I creativi ci sono, le ultime due edizioni dei Cannes Lions lo confermano. Ma l’humus è sfavorevole. In una realtà che sta decretando la morte della pubblicità tabellare, i veri profitti per il mondo della comunicazione non provengono dalle strategie più innovative e dalle idee ma ancora dai diritti di negoziazione sui media più obsoleti. E percorrono sentieri oscuri, incrociando nidi di ragno. Finché il mercato poggerà sulle labili fondamenta di paludose intermediazioni, i creatori di contenuti (poco propensi a frequentare gli acquitrini) produrranno exploit occasionali e a prezzo di immani fatiche. Al di là delle tensioni e dell’impegno che questo triennio mi hanno comportato, come presidente dell’Adci, sono molto orgoglioso della categoria che ho rappresentato. I creativi pubblicitari sopravvissuti sono per lo più folli, affamati e parecchio coraggiosi. Tanto da non cambiare lavoro e continuare a provarci. A crederci. La crisi prolungata sta selezionando i migliori e i più battaglieri.
Il prossimo passo evolutivo è tornare a fondare strutture indipendenti, cercando fondamenta più solide e “pulite” nella relazione con le aziende. Sta già accadendo. Solo se offri vera trasparenza puoi iniziare a pretendere rispetto: gare remunerate, contratti veri, e proprietà dei diritti di utilizzo. E qui mi viene naturale pensare ad Assocom.
Guardo con molto interesse alle imminenti elezioni. Spero che la voglia di tornare a incontrare le aziende su terreni ariosi e soleggiati prevalga sulla ricerca di improbabili alchimie. Inutile pregare chi non ha il senso di responsabilità per anteporre il bene comune, in un momento del genere. Aria nuova potrebbe attrarre strutture che sino a oggi si sono tenute ben lontane.
Massimo Guastini