Un Paese in (s)vendita
Loro Piana, firma prestigiosa del made in Italy, è passata sotto il controllo francese, nella fattispecie il gigante del lusso Lvmh, così come, qualche settimana fa, è successo a Cova, insegna storica cara ad intere generazioni di milanesi.
L’ultima notazione, in questa sorta di bollettino di guerra, beninteso una guerra persa, riguarda la cessione di Pernigotti: anche i gianduiotti migrano verso altri lidi, in questo caso un’azienda turca, il gruppo Sanset.
Intanto una nota di Coldiretti che trasuda amarezza e disillusione – al di là dell’asettica evidenza dei dati – ci informa che ha ormai superato i 10 miliardi il valore dei marchi storici dell’agroalimentare d’eccellenza italiano passati in mani straniere.
E non consola, poiché una rondine non fa primavera, il fatto che l’instancabile Mario Moretti Polegato abbia riportato sotto il controllo italiano – la finanziaria di famiglia LIR – un marchio storico del made in Italy, Diadora, con un investimento di 9,2 milioni di dollari (il prezzo di un calciatore di seconda fascia).
La stagione dei saldi per l’imprenditoria italiana continua, favorita da quotazioni prossime o, addirittura, a volte, inferiori ai valori nominali, ma soprattutto agevolata dal sentimento di impotenza dei nostri imprenditori, impegnati in una quotidiana lotta senza quartiere, e ahimè, pressochè senza speranze, con un fisco ingordo, una pubblica amministrazione inefficiente, un coacervo di regole e norme vessatorie, una giustizia civile che si muove con la celerità di un bradipo afflitto da sciatalgia.
E intanto, giusto per fornire qualche ragione di ottimismo ai nostri stremati concittadini, i partiti di governo continuano imperterriti ad accusarsi reciprocamente delle più esecrabili nefandezze e, al loro interno, a cimentarsi, con un impegno degno di miglior causa, nel gioco al massacro del “tutti contro tutti”, delegando così a saltimbanchi ed a nostalgici della rivoluzione permanente il compito di farsi portavoce del disagio sempre più diffuso, della povertà incalzante, del venir meno delle speranze dei giovani di potersi costruire un futuro decente.
Nel frattempo, nel nostro orticello della comunicazione, gli indici sull’andamento degli investimenti forniti dagli istituti preposti a tale incombenza, si mantengono sul brutto stabile, mentre si allontana sempre più la reiteratamente annunciata inversione di tendenza.
A questo punto possiamo solo augurarci che anche le imprese del nostro comparto possano rientrare nel mirino di compratori stranieri. Un’illusione? Quasi certamente. Ma in fondo anche i sogni aiutano a vivere o, in questo caso, a sopravvivere.
Lorenzo Strona
strona@lsep.it