Tre griffe sotto la lente di Reputation Manager

Una ricerca sulla reputazione online di tre brand del lusso ha por tato a risultati interessanti di cui le maison analizzate dovrebbero prendere atto per improntare un’adeguata strategia digitale.

Le griffe di cui parliamo sono Gucci, Dolce & Gabbana e Prada, la cui presenza nelle discussioni online è stata monitorata da Reputation Manager lo scorso settembre, testando tutto il web (blog, forum, testate giornalistiche, social network e canali ecommerce) su un periodo che va da settembre 2011 a settembre 2012.

Il primo risultato interessante è che i prodotti che spostano di più l’attenzione degli utenti online non sono gli abiti firmati, bensì tutta la catena di accessori: orologi, gioielli, scarpe, borse, profumi e cosmetici. Un fenomeno su cui pesa sicuramente la maggiore accessibilità di queste categorie di prodotto: «Nei canali ecommerce – spiega Andrea Barchiesi, a.d. Reputation Manager – la presenza di accessori è superiore rispetto agli abiti, per motivi di prezzo.

Di conseguenza gli accessori si prestano di più al commento, perché il target attivo, cioè che quello che inizia conversazioni online, è il pubblico giovane che di solito ha un potere di acquisto ridotto».

Ma le maison dovrebbero cercare di spostare l’attenzione sulle collezioni di prêt-à-porter che sono il focus della loro produzione? «La cosa più intelligente da fare – risponde Barchiesi – è cavalcare la corrente, non contrapporsi al fenomeno.

Il che significa creare associazioni tra prodotti, parlarne insieme, entrare nel loro mondo, magari presentare gli accessori insieme a un total look che propone combinazioni nuove. In ogni caso su questo pubblico, che oggi compra gli accessori e domani non si sa, creare aspirazionalità e mantenere una cer ta irraggiungibilità aiuta a tenere alto il valore del brand.

E’ quello che succede durante le sfilate: le passerelle non si fanno per vendere ma per costruire un’immagine, allo stesso modo internet è una sfilata permanente». Il post più gradito risulta essere quello di Gucci Guilty, con 37mila like e quasi 3mila commenti nel giro di due settimane. «Probabilmente perché fa leva sul desiderio e l’aspettativa di chi legge – osserva l’amministratore delegato della società – e riesce bene a rappresentare il sentimento di nostalgia dell’estate, riesce a far sognare.

Comunque, su un totale di 109.233 post rilevati sulle pagine Facebook dei tre brand, i primi 20 post per numero di like sono scritti da Gucci. Quindi a prescindere dal prodotto, la comunicazione social della marca ha un gradimento più elevato rispetto a Prada e a Dolce & Gabbana.

Dalla nostra ricerca si evince che un fenomeno imponente di utilizzo improprio è stato rilevato su Youtube. Il 98% dei video rilevati è fake, ovvero si tratta di filmati che utilizzano il nome del brand – nei titoli, nelle descrizioni e nei tags – per proporre altri contenuti. Addirittura la parola Prada è stata utilizzata per nominare un intero canale Youtube (OfficialPrada) che non ha nulla a che fare con la griffe italiana, la quale invece ha chiamato il suo canale ufficiale “A Future Archive”, esponendosi così al rischio di violazione che infatti si è compiuto».

Il fatto curioso è che le griffe, pur producendo contenuti di qualità che vengono viralizzati in rete, non sono ancora così aperte al dialogo, almeno non nel senso che il web 2.0 promuove. Infatti la bacheca di questi brand su Facebook è chiusa.

«Prevale la paura di non poter controllare – suggerisce Andrea Barchiesi – ma è un falso problema, perché se da par te dell’utente nasce un dissenso, qualora non possa esprimerlo su Facebook, lo esprimerà fuori, lo vivrà comunque altrove.

Chiudere agli utenti la possibilità di postare non significa eliminare il dissenso, perché la persona in questione scriverà su un blog, su un forum, su altre piattaforme, e finirà addirittura con l’essere meno controllabile.

Chiusa la pagina di Facebook, ci sono altre 40 milioni di pagine su cui scrivere!». Nello specifico, Gucci (55% opinioni positive, 35% opinioni neutre, 10% opinioni negative) è risultato sinonimo di stile, eleganza e raffinatezza e tra quelli analizzati è il marchio con l’associazione più forte a un business attento all’eco-sostenibilità.

In rete infatti si parla molto di “Zero Impact”, progetto per pelletteria eco-sostenibile, delle scarpe in bio-plastica dell’ultima collezione o di “Gucci Bamboo bag”, concorso di design sostenibile promosso insieme all’Institut Français de la Mode.

Curiosità: il marchio spopola nei forum di cucina, non perché le utenti si intrattengano a parlare di vestiti piuttosto che di dolci, ma perché chi è esperto di fashion design e anche di pasticceria condivide le foto delle sue torte formato-borsa Gucci.

Si tratta di vere e proprie opere d’arte, che in questi forum danno vita a un frenetico merchandising, essendo molto ricercate in occasione di compleanni e cerimonie di vario genere.

Per quanto riguarda Dolce & Gabbana (51% opinioni positive, 36% neutre, 13% negative), che ultimamente punta sulla tradizione e sulle origini siciliane dei due stilisti, è evidente che rispetto agli altri due brand analizzati, è quello che ha una percentuale più elevata di opinioni negative, probabilmente perché osa di più sul piano della comunicazione, spesso giocata sul fi lo dell’ambiguità, dell’erotismo, e il costante riferimento al mondo gay non è una scelta casuale. «Per questi motivi – sottolinea Barchiesi – o si odia o si ama.

L’ultimo spot Light Blue Fragrance e il suo testimonial David Candy hanno acquisito in rete una viralità straordinaria, il video è stato condiviso centinaia di volte, e viene commentato in molti blog e forum soprattutto da parte delle donne che apprezzano la bellezza del modello.

D’altro canto c’è chi critica l’eccessiva forza di alcuni messaggi, considerandoli a volte di cattivo gusto. In particolare uno spot è stato fortemente attaccato da associazioni e sindacati in Spagna e in Italia perché accusato di trasmettere messaggi di violenza e sopraffazione nei confronti delle donne.

Un’ombra sulla reputazione del marchio è stata gettata dalla recente accusa di evasione fi scale per circa un miliardo di euro, in ogni caso i due stilisti, che si sono detti sereni rispetto al processo, hanno espresso pubblicamente l’apprezzamento per le norme che sostengono la lotta all’evasione fi scale contenute nella riforma di Monti.

L’identità digitale di Prada (46% opinioni neutre , 44 % positive , 10 % negative ) restituisce l’immagine di un brand italiano fortemente orientato all’internazionalità e sempre capace di innovarsi.

Per la prima volta l’anno scorso Prada ha trasmesso in diretta web l’appuntamento annuale con la sfilata al Met Ball di New York. Miuccia Prada ha affidato a Roman Polanski la regia di un cortometraggio, “A Therapy”, un’occasione per riflettere con ironia sul mondo della moda e i suoi stereotipi. Il video è stato ripreso e commentato molto su Youtube e oggetto di analisi sui blog dedicati alla comunicazione.

Una nota dolente è l’aspetto sostenibilità: Prada è stata infatti citata tra i marchi luxury meno sostenibili nello studio di Bank Sarasin e la vendita delle borse in pelle di pitone è stata vietata nello Stato della California».

Vanna Assumma 

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