Tendente a Zero

Da quando lavoro nel naming (più di 20 anni ormai) ho incontrato numerose aziende che avrebbero volentieri comunicato, nel nome del loro nuovo prodotto o servizio, il concetto di “assenza” di certi elementi (assenza di grassi, di zuccheri, di preoccupazioni, di problemi), ma un imperativo di marketing ha sempre dettato loro la necessità di “volgere al positivo” il concetto per evitare di battezzare una novità con un nome che inizi con “no”. La negazione fa male alle vendite, si è sempre detto, anche se il concetto espresso è positivo.

In inglese il termine “free” ha aiutato a superare in parte questo problema: sugar free, fat free o gluten free sono nomi dal sapore di libertà, e assolutamente corretti. Ma non tutti in Italia conoscono l’inglese, e anche molti di coloro che lo hanno studiato a scuola in gioventù (e poi basta) pensano che free significhi “libero” (talvolta “gratis”), più che “privo”: in free il concetto di assenza non è immediatamente riconoscibile, in Italia.

E allora l’uso del free che diventa trend e vede la sua diffusione su tanti prodotti esteri e italiani ci aiuta a comprendere l’esatto significato dell’aggettivo usato nel contesto specifico. Bene, direi. Il trend verbale ha funzione pedagogica, che non fa mai male.

Ma ad un certo punto qualcosa nel free perde d’interesse. Forse c’è bisogno di qualcosa di più incisivo, o di meno visto, o di più internazionale. E allora ecco che compare, con forza di tornado, lo Zero. Il termine Zero può sostituire degnamente il free (e naturalmente anche il “no”) ma lo fa con una tale assertività e sicurezza di sé che non sempre resta al suo posto di aggettivo (da accompagnare a Grassi, Impatto, Zucchero) ma diventa nome di prodotto, aiutato solo dalla forza del brand e dalla comprensione (e pazienza?) del consumatore.

Se non ci fossero i brand forti e internazionali, che piegano la comunicazione e l’immaginario collettivo verso aree di senso inesplorate, si potrebbe pensare che l’uso del termine Zero, da solo, porti verso una scala di valori dove la nullità è primo sinonimo (sei uno zero, vali zero…).

Ma qui si va oltre la scala di valori e si pratica un’elisione, si toglie del tutto la parola che evoca il “problema” (grassi, difetti, impatto, emissioni, zucchero) e si chiede al consumatore di “riempire il vuoto” di informazione. Allora vediamo: Coca Cola Zero, Fanta Zero, Sprite Zero, San Pellegrino Aranciata Zero, Lemonsoda Zero, Powerade Zero, Fabbri Sciroppi Zero. Il significato che si vuole dare allo Zero in questione è sempre lo stesso: zero calorie (grazie all’assenza di zucchero e alla presenza di dolcificanti ipocalorici).

Allora chiedo ad alcuni amici e familiari: “a cosa vi fa pensare il nome Zero che trovate su molte bevande?” Mi dicono “senza zucchero”, ma qualcuno, in particolare per la Coca-Cola, mi dice “senza caffeina e senza zucchero” (certo, la caffeina nell’aranciata e nella limonata è più difficile pensarla). D’accordo, qualcuno non è ben informato, qualcun altro non è assiduo consumatore di bevande gassate. Ma qualche dubbio viene.

Il dubbio principale nasce dal rapporto tra trend linguistici e significato delle parole. Il significato di Zero non è univoco, quindi interpretabile a seconda dei contesti. Se colloco lo Zero nel contesto delle bevande, il trend dice che Zero equivale a assenza di calorie (che si innesta bene sul diffusissimo trend alimentare di controllo del peso). E allora cosa significa light? Meno calorie del prodotto “standard”, ma più di Zero?

No. Coca-Cola Light e Coca-Cola Zero hanno entrambe zero (o pari a zero) calorie. E Fanta Free è diventata Fanta Zero, stesso prodotto. Attenzione però: CaféZero di Algida (anch’esso da bere) non ha zero calorie, qui lo Zero evoca (meglio, dovrebbe evocare) gli zero gradi centigradi (contiene “microcristalli di ghiaccio”).

Potremmo dire che Zero è diventato un nome (e una declinazione di brand) che piace, che posiziona un prodotto, che gli dà forza in relazione a un certo target di consumatori. Intanto, lo Zero sfuma il suo significato e diventa (pare) un simbolo di modernità.

Non sembra importante cosa significa, o cosa la gente pensa che significhi. Sembra proprio che sia il trend, quello che conta. Oggi il nome Zero tende ad essere di tutti e di nessuno, a discapito della forza e del valore di un brand unico. E a discapito della comprensione del messaggio.

Gianluca Billo

Managing Director di Nomen Italia

gianluca.billo@nomen.it

www.nomen.it

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *