L’’orda

Mi permetto una divagazione fashion perché l’’estetica è etica. Esiste un solo posto al mondo nel quale, durante una sola e unica settimana all’’anno, i barboni vengono corteggiati e premiati come divi. Il luogo è Cannes, riviera franzosa, la settimana è quella che ospita il festival della pubblicità.

In quei giorni la Croisette è pascolata dai creativi, un’’orda identica a se stessa che trascina strepitose idee su infradito maciulente inforcate da piedi bianchi e gonfi, con bermudoni dai quali spuntano slip firmati e pallidi sederi spesso anche loro firmati, da tatuaggi, occhialoni metrosex e immancabile, drammatica tracolla (il più delle volte regalata da un fornitore). 

Non ci sono differenze geografiche, anche se britannici, scandinavi e argentini sono i maestri cui gli italiani fanno riferimento (purtroppo solo nell’’abbigliamento) e neanche barriere anagrafiche, anche se i più anziani di tanto in tanto abbozzano una giacchetta, rigidamente non stirata e di una taglia inferiore (dà quel senso dipatimento e ristrettezza economica di cui il creativo ha bisogno per leggere ogni mese il cedolino stipendio senza provare troppa vergogna).

La tragedia si materializza con devastante evidenza il sabato sera, alla premiazione finale. La platea presenta due gruppi umani: il primo è elegante o almeno curato trattandosi di serata di gala, mentre il secondo, l’’orda, in definitivo disprezzo del proprio successo, è sempre in ciabatte.

Il primo applaude e paga il conto, il secondo sale sul palco e beve champagne a secchi. Amici creativi, ma perché fate così? Il creativo genio vestito di stracci è roba vecchia da circa un secolo.

Fa ridere. Anche Tim Burton se ne è accorto, siete in buona compagnia. Vorrei ricordare che, fino a qualche anno fa, subito dopo il festival mondiale della pubblicità, il palais di Cannes ospitava il festival mondiale del cinema hard.

Erano bei tempi, non c’’è che dire. Prolungare la permanenza di due giorni era un piacere. Ebbene, ho verificato con i miei occhi e posso affermare che tra il guardaroba di Rocco Siffredi e quello di John Hegarty credo che alla fine, e non senza angoscia, propenderei per il primo.

Riccardo Robiglio

riccardo.robiglio@leoburnett.it
 

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