Inserzioni pubblicitarie e sfruttamento della prostituzione

La Corte di Cassazione si è trovata a pronunciarsi su un argomento davvero sensibile: se gli annunci pubblicitari a pagamento a favore di soggetti che esercitano la prostituzione costituiscano favoreggiamento e/o sfruttamento della prostituzione.

La recente sentenza, depositata il 13 maggio 2013, si riferisce ad una vicenda nella quale una società, che gestiva anche un sito internet, aveva creato un sistema di annunci pubblicitari a pagamento a favore di prostitute e transessuali, che reperiva attraverso propri promotori, i quali si occupavano di raccogliere, su base nazionale, le inserzioni.

La Corte Suprema ha ricordato i precedenti giurisprudenziali, in base ai quali i servizi pubblicitari (sia su stampa, sia sul web), offerti alle persone che si prostituiscono, devono essere considerati â’€’œcome un normale servizio in favore della personaâ’€’, mentre il reato di favoreggiamento risulta integrato solo quando, alla semplice pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata, si aggiunga una cooperazione concreta e dettagliata, tra il prestatore del servizio pubblicitario ed il soggetto che si prostituisce, nellâ’€’™ allestimento della pubblicità, al fine di rendere più allettante lâ’€’™ offerta e di facilitare lâ’€’™ approccio con il maggior numero possibile di clienti.

Tale cooperazione si può realizzare, ad esempio, attraverso lâ’€’™ esecuzione di nuovi servizi fotografici, scegliendo le pose erotiche delle donne per le riprese, collaborando allâ’€’™ instaurazione del contatto prostituta-cliente. Quando, in sostanza, venga esplicata unâ’€’™ attività di intermediazione diretta a favorire gli incontri, si può configurare lâ’€’™ ipotesi di favoreggiamento della prostituzione.

La Corte ha individuato il discrimine tra lecito e illecito nel passaggio dalla prestazione di servizi â’€’œordinariâ’€’ alla prestazione di unâ’€’™ attività aggiuntiva personalizzata di collaborazione. Esaminando il caso in decisione, emergeva che la società imputata raccoglieva le inserzioni su base nazionale e le pubblicava sul sito web dalla stessa gestito, attraverso unâ’€’™ organizzazione territoriale non dissimile da quella utilizzata per le usuali attività di raccolta pubblicitaria.

Inoltre, le tariffe prestabilite per le inserzioni non eccedevano le normali tariffe in uso. Si trattava quindi della prestazione di un servizio di carattere ordinario. Nel caso in esame, era stata in contestazione anche la circostanza che le immagini fotografiche, fornite dallâ’€’™ inserzionista, venivano ritoccate con strumenti informatici, ma era emerso che, anche questo servizio, veniva eseguito alle normali tariffe di mercato.

Inoltre gli interventi di ritocco, non solo erano numericamente contenuti, ma anche banali e riconducibili nellâ’€’™ ordinaria prestazione di servizi, che un pubblicitario assicura ai suoi clienti. La Corte ha rigettato, quindi, lâ’€’™ appello proposto dal Procuratore Generale della Repubblica, con conseguente conferma della sentenza del Giudice dellâ’€’™ udienza preliminare, che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti della società allora imputata, perché il fatto non costituisce reato con riferimento al reato di favoreggiamento della prostituzione e perché il fatto non sussiste con riferimento al reato di sfruttamento della stessa.

Fiammetta Malagoli

malagoli@studiolegalemalagoli.it 

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