Comunicazione e responsabilità
Venerdi 24 maggio, qualche minuto prima delle 8.00. In macchina ascolto distrattamente un notiziario economico messo in onda da Radio1 Rai, che riferisce del tonfo delle borse asiatiche ed europee, rilancia le preoccupazioni di Squinzi sul futuro dell’economia del Paese, ci informa che la crescita cinese, prevista al +7,5%, sarà il peggior risultato degli ultimi vent’anni ed altre analoghe amenità.
Dopodichè il conduttore riporta il parere di un ascoltatore che, dopo la consueta rampogna sui politici che non fanno nulla, avanza la sua proposta: incremento del 10% dell’aliquota per i redditi superiori ai 30.000 euro, uscita dalla moneta unica e ritorno alla lira, azzeramento del debito pubblico nel modo più semplice e radicale: lo stato non rimborsi BOT, BTP e CCT, che diventeranno, ipso facto, carta straccia. In tal modo, conclude l’improvvisato economista ed aspirante capopolo, la faremo pagare ai ricchi!
La libertà di pensiero, anche quando si manifesta in un coacervo di opinioni squinternate, come quelle sopra succintamente riferite, è uno dei capisaldi della democrazia. Su questo siamo d’accordo.
Ma che il conduttore del programma in questione, del quale ignoro il riverito nome, ed i suoi colleghi che imperversano nei talk-show televisivi e radiofonici e nei cosiddetti programmi di approfondimento, non si pongano il problema che, riferendo pareri come quello espresso dall’ascoltatore in questione senza un adeguato commento, si alimenta la sensazione di disorientamento che già affligge gran parte dei nostri connazionali e si finisce per ridare fiato a quell’odio di classe che credevamo sepolto o quanto meno consegnato agli annali della storia del novecento, col rischio di dare il la ad una guerra tra poveri, è cosa di una gravità inaudita.
Chi utilizza i mezzi di comunicazione di massa ha il dovere di fungere da filtro, e, addirittura, ove necessario, di esercitare una censura nei confronti degli incendiari, pronti a trasformare una situazione di per sé grave ed estremamente complessa, in un vero e proprio disastro economico e sociale, alla luce del “tanto peggio, tanto meglio”.
Non mi stancherò mai di ricordare che persino il campione del liberalismo moderno, il compianto Karl Popper, in quel suo libriccino “Cattiva maestra televisione”, non aveva esitato a pretendere che, per avere accesso a mezzi di comunicazione così potenti e pervasivi, fosse necessaria una “patente” ed una preventiva palese dimostrazione di possedere, oltre alle competenze tecniche ed alle necessarie attitudini professionali, equilibrio, buon senso, moderazione e, soprattutto, piena consapevolezza degli oneri e della responsabilità che il ruolo comporta.
Lorenzo Strona
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