Associazioni. Le buone intenzioni non bastano
Trovo in larga misura condivisibile l’opinione espressa qualche giorno fa dal presidente di AssoComunicazione circa la necessità che le associazioni del comparto si muovano sul terreno della concretezza, adottando modalità operative mirate a fornire un supporto reale – formazione e consulenza soprattutto – al quotidiano impegno delle imprese.
E condivido anche il convincimento che la crisi di adesioni e la sempre più accentuata e allarmante disaffezione che si sta manifestando nei confronti delle realtà rappresentative del settore, non sia da addebitare a una carenza di impegno da parte delle associazioni, ma sia motivata da valutazioni di carattere congiunturale che stanno sollecitando molti operatori a soppesare attentamente il rapporto costo beneficio dell’appartenenza.
Credo tuttavia che esistano ulteriori fattori negativi che incidono marcatamente sull’attrattività delle associazioni sui quali vale la pena di soffermarsi qualche istante. Mi riferisco in particolare all’oggettiva debolezza sul terreno della rappresentanza e della tutela degli interessi degli associati.
Non possiamo infatti sottacere il fatto che le associazioni sono innanzitutto soggetti portatori di interessi. E se, come tali, a causa della marginalità del comparto, manifestano un’evidente incapacità di rappresentare, sostenere, tutelare e promuovere i diritti e gli stessi interessi degli associati e si rivelano impotenti nell’incidere concretamente sulla sempre più accentuata deriva della credibilità della professione, la conseguenza inevitabile non può che essere una progressiva perdita di attrattività.
Si consideri, ad esempio, la vexata quaestio delle gare. Se un’associazione, dopo aver elaborato un complesso di indicazioni e di regole di comportamento volte a tutelare le imprese di comunicazione – norme peraltro pensate nel pieno rispetto dei diritti e anche delle oggettive convenienze della stessa committenza – non può imporne l’osservanza ai propri associati e, laddove necessario, censurarne i comportamenti, questo diventa un fattore di reale debolezza che finisce per vanificarne l’impegno.
Credo perciò che sia tempo di affrontare la questione in modo serio. Per far questo temo non bastino i soliti convegni che, nella maggior parte dei casi, finiscono per risolversi in chiacchiere senza costrutto che lasciano il tempo che trovano, ma sia necessaria un’azione coordinata di tutte le realtà rappresentative del comparto, portata avanti con determinazione, senza eccessivi timori di urtare la suscettibilità dei poteri forti, presunti o reali che siano e su qualunque fronte si collochino.
Non è a rischio infatti solo la sopravvivenza delle associazioni, ma, cosa ben più grave e preoccupante, il futuro delle stesse imprese di comunicazione.
Lorenzo Strona
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