Associazioni, fatevi sentire!
Riprendo volentieri il tema oggetto del corsivo apparso su questa testata venerdì scorso, raccogliendo lo stimolo che mi giunge da Agostino Pellegrino (vedi Pubblico Today del 17/10/2012), che ringrazio per le cortesi espressioni di apprezzamento delle tesi proposte in quel contesto.
E, a tale proposito, confermo che non era, e non è mia intenzione, colpevolizzare le associazioni del comparto per la sostanziale incapacità di essere all’altezza della situazione nella tutela degli interessi della categoria.
Non solo perché in quel caso mi renderei protagonista di un’autocritica, che io stesso giudicherei immeritata, in considerazione della mia storia personale e dei lunghi anni di impegno alla guida di un’associazione del comparto, ma perché sono convinto, e non da ora, che una serie di ragioni oggettive ed incontestabili, vanifichino gli sforzi e rendano sterile l’impegno delle istituzioni rappresentative della categoria.
Tra queste il peso maggiore è da attribuirsi all’oggettiva marginalità del comparto, in termini di valori economici ed occupazionali espressi, che determina un livello di “ascolto” pressoché prossimo allo zero da parte dei destinatari delle pur giuste, legittime e sacrosante rivendicazioni.
L’altra ragione, che sarebbe sbagliato sottovalutare – e sulla quale è invece possibile intervenire – si connette alla “reputazione” del settore, sia tra gli operatori economici – piccoli e medi soprattutto – sia presso l’opinione pubblica del Paese, presso la quale il “mestiere” non gode di grande considerazione.
Vorrei ricordare, a supporto di tale affermazione, un episodio che risale a qualche anno fa e che potrebbe apparire marginale, ma che io reputo importante in termini di segnale rispetto al degrado dell’immagine della professione: in una raccolta dei testi degli spettacoli di Beppe Grillo, pubblicata da un importante editore, si può “apprezzare” questo parere: “L’Italia è il paese d’Europa con il più basso numero di laureati e con il più alto numero di imbonitori televisivi, di maghi e di pubblicitari”.
Intendiamoci, non è certo il caso di sopravvalutare le affermazioni del signore in questione o di considerarlo un maître à penser degno di eccessiva attenzione: la frase in sé è solo la battuta di un comico.
Quello che mi ha indotto a riflettere è che questa affermazione, che situa i pubblicitari in fondo alla graduatoria della rispettabilità sociale, genera applausi e risate.
In altre parole si tratta di un’opinione largamente condivisa nel Paese, non solo da coloro che si riconoscono in aree di pensiero alternativo (vedi nostalgici no-global o cultori di ideologie massimaliste e cinicamente conservatrici), ma dalla gente comune, nel contesto della quale annovero anche una buona quota di imprenditori.
Per questo ritengo che su tale terreno sia urgente intervenire. Il settore, nel suo insieme, ha tutti gli strumenti, i mezzi e le competenze per farlo. Ma non affidandosi ad iniziative estemporanee e isolate, bensì promuovendo, con strumenti adeguati ed un sistematico e costante impegno, la cultura della comunicazione, che deve essere proposta per quello che è: un irrinunciabile fattore strategico di successo per le imprese e, probabilmente, uno strumento in grado di offrire un efficace contributo al superamento dell’attuale difficile congiuntura.
Lorenzo Strona
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