Amarcord Carosello

Sembra che Carosello sia tornato in Rai. Non l’ho ancora visto, ma la sola notizia mi ha proiettato indietro nel tempo, quando per “fare i caroselli” non bastava essere creativi, bisognava anche saper esercitare l’arte della diplomazia e del compromesso.

A quei tempi mi capitava spesso di fare a piedi il percorso che va dalla stazione Termini a via del Babbuino. Prima di entrare nel portone del numero dieci, dov’erano gli uffici della Sacis, mi fermavo al bar per un cappuccino con cornetto alla crema.

Non me la sarei mai sentita di affrontare il dottor Montesi a stomaco vuoto. Era considerato la bestia nera degli autori dei Caroselli. Come funzionario della Sacis aveva la responsabilità di sorvegliare che gli spot da mandare in onda fossero conformi a certe regole mai scritte, ma che lui conosceva molto bene.

Si trattava di regole ben più vincolanti di qualunque legge in quanto, come lui ti faceva capire, venivano dall’alto. Molto dall’alto. Al dottor Montesi esercitare la censura preventiva alle sceneggiature di due cartelle e mezza degli shorts di Calimero, doveva costare fatica; ma lui era un tipo zelante e, ad un certo punto della discussione, si toglieva gli occhiali e sbottava: “Senta Zerbini, abbia pazienza.

E’ inutile insistere: un asino che fa il sindaco non passerà mai. Non posso farlo passare”. “Ma Dottore, quelle di Calimero sono storie di fantasia, cartoni animati. Tutti i personaggi sono animali. Cosa c’è di male se come sindaco ci mettiamo un somaro?”.

“C’è che poi telefona un tizio che si è sentito offeso dall’abbinamento sindaco-somaro e per noi sono grane a non finire. Dia retta a me, ci metta un bel leone a fare il sindaco. A lei cosa costa?”. “Ma le storie di Calimero sono ambientate in Val Padana.

E non ci sono i leoni in Val Padana”. “Nella realtà no. Ma l’ha detto lei che sono storie di fantasia. E lei mi insegna che alla fantasia è concesso tutto. O no?”. “Tutto, meno che un somaro possa fare il sindaco”.

“Ecco, bravo. Vede che ha capito!”. Gli incontri con il dottor Montesi non si protraevano mai a lungo e generalmente le argomentazioni a difesa che l’autore sciorinava per salvare la sua sceneggiatura difficilmente venivano accolte; ma poteva succedere che, dopo un po’, si arrivasse ad un compromesso accettabile per entrambe le parti.

“Un maiale? Lei farebbe fare la parte del sindaco a un maiale? Va beh, un maiale potrebbe passare. Ma l’avverto: nessuno deve pensare che i sindaci… Lei ha capito cosa intendo, vero? Veda di usare il suo buonsenso».

Prima dei saluti il dottor Montesi restava in silenzio per qualche secondo, aspettando che il giovane scriptwriter raccogliesse i suoi fogli, poi, come cercasse un po’ di umana comprensione, diceva: “Perché ogni volta ci dovete provare?

Lo sapete che la pubblicità in televisione è una cosa delicata: si può fare ma non deve sembrare che si fa. La televisione entra in tutte le case e c’è chi considera immorale entrare in casa delle famiglie italiane per fare la reclame ai prodotti.

Chi la pensa così è gente importante. Lei non immagina neanche quanto è importante. Sono pezzi grossi della politica, del governo, della chiesa. Ci tengono gli occhi addosso. Per noi è come avere la spada di Damocle sopra la testa: basta un niente e… zac!”. E per rendere meglio l’idea il dottor Montesi accompagnava il suo “zac!” con un eloquente gesto del pollice all’altezza del pomo d’Adamo.

Bruno Zerbini

bruno@brunozerbini.com  

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